La direttrice esecutiva risponde alle accuse di una non completa indipendenza della Authority dagli interessi della industria alimentare e illustra i programmi dell’agenzia
L’Efsa compie dieci anni – l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare è stata istituita nel gennaio 2002 e ha iniziato la propria attività a Bruxelles prima di trasferirsi definitivamente a Parma nell’ottobre 2005 – e in occasione della Festa dell’Europa aprirà le porte della sede di viale Piacenza per far conoscere il proprio operato.
Lo assicura la direttrice esecutiva, Catherine Geslain-Lanéelle, rispondendo anche alle accuse di una non completa indipendenza dell’Authority dagli interessi dell’industria alimentare.
Perché avete deciso di aprire la nuova sede alla città?
Vogliamo far conoscere il ruolo dell’Efsa, che è quello di produrre pareri scientifici sulla sicurezza degli alimenti, comunicare i rischi alimentari e tutelare la salute dei consumatori. La nostra attività viene già divulgata attraverso i media e un sito web, ma a Parma vogliamo offrire ai cittadini anche l’opportunità di vedere con i loro occhi come lavoriamo.
Che risultati concreti avete ottenuto nel corso degli anni per salvaguardare la salute dei consumatori?
L’Efsa, attraverso la collaborazione con il Parlamento europeo e gli Stati membri, ha contribuito alla riduzione della salmonella nella catena alimentare, ha fatto ritirare dal mercato additivi e sostanze aromatizzanti che potevano avere un impatto negativo sulla salute, e ha contribuito ad evitare la diffusione dell’Escherichia coli, un batterio che ha provocato la morte di diverse persone in Europa.
I cibi che arrivano sulle nostre tavole sono sicuri?
Dal 2003, cioè da quando l’Agenzia ha iniziato il proprio lavoro scientifico, abbiamo prodotto più di 2500 pareri sui pesticidi, sulle malattie delle piante e sul benessere animale, sull’impiego degli ogm, sui rischi microbiologici, sull’uso di sostanze chimiche e di additivi. Noi collaboriamo a stretto contatto con gli Stati membri della Ue, e questo ci ha permesso, ad esempio, di svolgere un efficace monitoraggio del virus Schmallenberg, che al momento ha colpito solo gli animali, senza provocare alcun danno alla specie umana.
Quali sono i principali «nemici» della sicurezza alimentare?
I rischi maggiori derivano dalle contaminazioni microbiologiche e chimiche, queste ultime provocate dalle sostanze inquinanti presenti nell’ambiente che poi finiscono nella catena alimentare. L’Efsa svolge un attento monitoraggio su tali problematiche, ma si occupa anche dei problemi legati alla nutrizione, come l’obesità, all’uso dei pesticidi, all’impiego dell’aspartame e del bisfenolo A.
A proposito dei vostri pareri, è stata sollevata da più parti la questione di una non completa indipendenza dell’Efsa dalle lobby dell’industria alimentare.
Tutti gli esperti che lavorano con noi, al fine di garantire la massima trasparenza e indipendenza, sono obbligati a fornire una dichiarazione annuale di interessi, nella quale spiegano per chi lavorano, per chi hanno lavorato e di che cosa si stanno occupando. Tale dichiarazione viene presentata anche in occasione delle riunioni alle quali partecipano. Ogni anno quindi l’Efsa esamina circa 8 mila dichiarazioni per vedere se esistono conflitti di interesse.
Un’altra critica che viene mossa all’Authority riguarda il suo costo di funzionamento.
Noi costiamo 80 milioni di euro, ma ci occupiamo della salute alimentare di circa 500 milioni di persone in tutta Europa. In pratica, il contribuente spende meno di 70 centesimi per la propria sicurezza. I soldi pubblici servono a garantire l’imparzialità del nostro operato, perché se i finanziamenti dovessimo reperirli dai privati verrebbe meno la nostra autonomia.
L’Efsa collabora anche con le istituzioni di Paesi non europei?
L’Europa è un importante mercato sia dal punto di vista delle importazioni che delle esportazioni, quindi è necessaria una collaborazione con le organizzazioni di altri Paesi, come gli Stati Uniti, l’Australia, la
Nuova Zelanda e il Giappone. Abbiamo avviato una collaborazione anche con la Cina, dato che circa il 40 per cento delle allerte alimentari riguarda prodotti provenienti dal mercato cinese.
Gazzetta di Parma – 2 maggio 2012