Sessantacinque milioni di euro: potrebbe essere il fatturato di una Pmi bolognese con 150 dipendenti, una di quelle aziende che si piazzerebbe oggi tra le prime 150 del territorio, per dimensioni. E invece quei 65 milioni di euro sono il credito Iva che una sola realtà, Granarolo, sta aspettando dallo Stato.
Liquidità sottratta all’operatività e agli investimenti del primo produttore italiano di latte fresco – e ottavo big bolognese per fatturato, 858,6 milioni di euro nel 2011 – oltre che un costo in più per la società. Granarolo, comunque, grazie alla solidità patrimoniale e finanziaria riesce ancora a guardare dritto all’obiettivo di raddoppiare il fatturato entro il 2016, come previsto dal piano strategico di quest’anno.
«Ma 65 milioni di euro sono una zavorra che rallenta il passo – ammette il presidente del Cda Gianpiero Calzolari, che sottoporrà all’assemblea dei soci, il prossimo 12 maggio, la distribuzione di 6 milioni di dividendi, più del doppio rispetto al 2010, di riflesso a ricavi cresciuti del 7,9% e utili schizzati del 31,7% a 17,6 milioni – e che ci obbliga a ricorrere al credito bancario con costi molto alti. Di fatto metà del nostro debito contabilizzato è credito verso lo Stato». È dal 2010 che Granarolo aspetta 45 milioni di Iva versata in più all’Erario. Crediti saliti a 57 nel 2011 e a 65 milioni al 31 marzo 2012. «Se in tempi normali, fino a due anni fa, tra la presentazione della domanda e il rimborso trimestrale passavano 200-250 giorni, oggi si superano i 300; mentre per le dichiarazioni annuali siamo saliti dai 300 giorni al massimo di due anni fa ai 400 giorni attuali», precisa il presidente del colosso cooperativo, mille allevatori consorziati e 2.084 dipendenti in sei stabilimenti sul territorio nazionale.
Dopo aver acquisito Yomo nel 2004 e LatBri alla fine dell’anno scorso, Granarolo è ora pronta a nuovo shopping sul suolo italico, guardando non solo ai prossimi bandi pubblici delle centrali del latte municipalizzate, ma anche alle opportunità che offre il mercato, tra pianura padana e Puglia. «L’obiettivo è creare sinergie reali con imprese che utilizzano materia prima italiana e integrino la nostra specializzazione, come è stato con LatBri, per spingere lo sviluppo oltreconfine», spiega Calzolari, che punta al miliardo di fatturato a fine anno, di cui un 16% da export, avendo in mano un piano di investimenti da 500 milioni di euro in cinque anni.
Uno sviluppo che passa dal caseario e dalle denominazioni di origine e che porterà il marchio Granarolo, oggi legato a latte, yogurt (è il terzo produttore dietro a Danone e Müller, primo italiano) e formaggi freschi, a entrare anche nel segmento degli stagionati e a pasta dura, come gorgonzola e grana. «Mantenendo i marchi – assicura il presidente – ma crescendo anche nel private label, segmento destinato a un’ulteriore ascesa». Testa di ponte per farsi spazio nel caseario, nei prodotti a marchio Gdo e nei mercati esteri è stata proprio la brianzola LatBri (terzo produttore di formaggi freschi italiano, 120 milioni di business 2011, di cui il 40% estero, e 150 milioni di previsione 2012), la cui acquisizione ha portato la cooperativa emiliana dal 10 al 20% di quota mercato italiana dei formaggi.
Ma è anche dall’innovazione costante nei prodotti di qualità, derivati del latte italiano, che passa la crescita Granarolo: 15 nuovi prodotti solo negli ultimi mesi, dallo Yomino da bere lanciato a settembre (che ha fatto il 70% in più di vendite rispetto al budget) alla bottiglia “anticrisi” di latte alta qualità da un litro e mezzo, al baby food 100% made in Italy appena lanciato sul mercato (con un latte crescita fresco) fino ai prodotti per specifiche esigenze alimentari, come il nuovo latte fermentato “Laben” studiato per i consumatori islamici, un mercato potenziale da 5 milioni di persone
Ilsole24ore – 2 maggio 2012