I rapporti ufficiali sono rassicuranti: nella frutta e nella verdura i veleni, presi singolarmente, sono tutti nella norma. Ma i dati non tengono conto degli effetti sulla salute della combinazione tra le diverse sostanze. Che sono disastrosi
Le statistiche sono lì a rassicurarci. Perché soltanto lo 0,7 per cento dei prodotti venduti in Italia contiene residui di pesticidi che superano i limiti consentiti dalla legge. E anche questi residui fuori legge sono inferiori di cento volte rispetto alle dosi che possono provocare danni alla salute. E quindi, stando ai rapporti ufficiali, possiamo continuare tranquillamente a mangiare frutta e verdura. Vero? Non proprio. E la prima e più inquietante ragione la spiega Patrizia Gentilini, oncologa ed ematologa dell’Associazione medici per l’ambiente: “Non basta prendere in esame la tossicità di singole molecole, perché siamo esposti a cocktail di pesticidi e altri veleni che nell’ambiente, ad esempio nelle acque, possono reagire fra loro o con altre sostanze chimiche e dare luogo a composti ancora più tossici”. Insomma, a far paura non sono tanto le tracce delle singole molecole, ma il combinato delle diverse sostanze. Che attualmente non è preso in considerazione nelle misurazioni ufficiali, e di cui nessuno sa con precisione quali effetti abbia sulla salute umana. Serve quindi andare a vedere quanta chimica, ancorché in traccia, arriva sulle nostre tavole sotto forma di insalate o macedonie. A inizio aprile un’inchiesta de “l’Espresso” ha indagato sulla chimica utilizzata direttamente su frutta e verdura, raccontando quanti e quali sono i trattamenti abituali che rendono sempre attraenti all’occhio dell’acquirente i prodotti esposti. Questa volta abbiamo fatto un passo indietro. Siamo andati a vedere che cosa succede nei campi.
Occhio alla dose
Semplificando al massimo, i prodotti usati dagli agricoltori possono essere divisi in due categorie: quella degli agrofarmaci e quella dei fertilizzanti che servono per dare nutrimento al terreno. Nella prima classe rientrano invece i cosiddetti pesticidi: diserbanti per distruggere le piante selvatiche che crescono a fianco alla coltura principale, insetticidi e fumiganti per tenere lontani vermi e insetti vari, fungicidi per debellare i funghi. E anche se esistono soluzioni naturali, la maggior parte di questi prodotti è di origine chimica. Spiega Rolando Manfredini, responsabile della sicurezza alimentare di Coldiretti: “Gli agrofarmaci sono creati per uccidere degli organismi, insetti o erbacce che siano. Il fertilizzante, invece, non è un veleno. Fatta questa premessa, va detto che la pericolosità di entrambe le categorie dipende dall’uso che se ne fa, cioè dalle quantità che si utilizzano”.
Proprio per questo sono stati stabiliti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) i Limiti di massimo residuo (Lmr). E, come dicevamo, sembra proprio che questi limiti di per sé siano rispettati: su oltre 68mila campioni analizzati in Europa, il 97,4 per cento non li ha superati e il 61,4 per cento è risultato totalmente privo di residui misurabili. Non solo: l’Italia è il paese più virtuoso d’Europa, quello col minor numero di campioni contaminati. Ad aggiungere ottimismo c’è poi il fatto che dagli anni Novanta ad oggi, in nome della sicurezza alimentare, in Europa i pesticidi legali sono passati da 800 a 200 circa. Com’è stato possibile? Spiega Manfredini di Coldiretti: “Trent’anni fa si usavano gli agrofarmaci a cadenza regolare, ad esempio ogni 15 giorni. Poi, studiando a fondo le piante, i ricercatori hanno capito che certe malattie si manifestano in presenza di determinate condizioni, e così oggi la medicina si utilizza solo quando necessario”. Insomma, l’innovazione viene in aiuto. Come ricorda anche Andrea Barella, presidente di Agrofarma-Federchimica, l’associazione dei produttori di pesticidi: “Il nostro settore investe in ricerca e sviluppo il 6 per cento del suo fatturato complessivo (807 milioni di euro nel 2010). Si tratta di una ricerca made in Italy, che produce ricchezza, contribuisce a sostenere l’eccellenza della nostra agricoltura e riduce la fuga di cervelli che affligge invece molti settori”.
Cocktail fuori controllo
Resta però un problema. La legge europea non dice una parola sul cosiddetto multi residuo. Si tratta dei casi in cui nello stesso campione di frutta o verdura ci sono contemporaneamente diversi agrofarmaci in basse quantità. In altre parole, i limiti si riferiscono ad ogni singola sostanza, e non considerano l’accumulo dei vari pesticidi. “Sempre più spesso”, sostiene Daniela Sciarra, responsabile agricoltura di Legambiente, “queste sostanze vengono usate in combinazione, e alcune indagini dimostrano che l’azione sinergica può causare danni all’ambiente e all’uomo”. E il rapporto annuale di Legambiente,”Pesticidi nel piatto”, basato sui dati analizzati dai laboratori pubblici delle Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa), indica che su frutta e verdura è aumentata la presenza di campioni multi residuo, del 2,8per cento in un anno. E in misura maggiore nei prodotti derivati, come per esempio olio e vino, dove la presenza di diversi pesticidi è passata dal 9,3 al 14,2 per cento.
L’Espresso – 25 aprile 2012