Licenziato il dipendente che ha assunto posizioni di “sfida” verso i propri superiori
Premessa – È legittimo il licenziamento del lavoratore che ha un atteggiamento di costante e generale “sfida” sul posto di lavoro e di disprezzo nei confronti dei vari superiori gerarchici e della disciplina aziendale tale da far venir meno il permanere dell’indispensabile elemento fiduciario. Tra l’altro, l’insubordinazione che porta alla sanzione espulsiva può essere ravvisata anche in uno solo dei fatti contestati, laddove presenti il carattere di gravità richiesto dall’articolo 2119 c.c. Ciò è quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 5115 del 30 marzo 2012, ha rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice avverso la decisione con cui la Corte d’Appello aveva respinto la domanda diretta alla dichiarazione di illegittimità delle sanzioni disciplinari conservative irrogatele dalla datrice di lavoro oltreché del licenziamento.
La vicenda –La vicenda riguarda una lavoratrice che, accusata di aver assunto atteggiamenti di “sfida” verso i propri superiori, in quanto non intendeva rispettare alcunedisposizioni gerarchiche e datoriali, violando altresì normative igienico-sanitarie, ha presentato ricorso in Tribunale per ottenere la restituzione delle somme trattenute dalla propria datrice di lavoro a seguito della sanzione disciplinare conservativa irrogatole. Quanto alla sanzione espulsiva, la dipendente chiede il risarcimento del danno più la reintegra nel posto di lavoro.
La sentenza – Dapprima la Suprema Corte ha ricordato che “in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, non occorre che l’esistenza della ‘causa’ idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice, nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro, individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 cod. civ.” Allo stesso modo, “anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative, e non per le sole sanzioni espulsive, deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta”. Sulla base di quanto finora affermato è possibile sostenereche i vari episodi contestati di insubordinazione che condussero nel loro insieme al licenziamento appaiono sorretti da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro. Pertanto, come affermato nella sentenza di primo grado, il giudice ritiene legittimo il licenziamento.
Autore: Redazione Fiscal Focus – 15 aprile 2012