Riforma del mercato del lavoro: già tutto previsto nel pubblico impiego, dai licenziamenti per ragioni economiche a quelli disciplinari. Anzi, i dirigenti della pubblica amministrazione hanno in più una serie di norme contrattuali che graduano sanzioni e responsabilità, reintegri ed eventuali loro indennità sostitutive. Ma guai se il Governo cercasse di inasprire le regole esistenti per il pubblico impiego.
Non hanno dubbi Costantino Troise, segretario generale della Cosmed (confederazione sindacale medici e dirigenti) e Stefano Biasioli, segretario generale Confedir Mit-Pa (confederazione dei sindacati dei dirigenti, funzionari, quadri e professionisti della pubblica amministrazione) che intervistati in esclusiva da Il Sole-24 Ore Sanità danno l’altolà a Fornero, Monti e Patroni Griffi, anche se quest’ultimo ha già detto di ritenere che la Pa sia fuori dalla riforma.
«Il pubblico impiego – afferma Troise – è oggetto di “invidia sociale”, dimenticando che è diventato il bersaglio di una campagna denigratoria che ha portato a costruire ben 26 leggi speciali che valgono per il pubblico e non per il privato come il taglio del 5% dello stipendio o il pensionamento anticipato delle donne o ancora il blocco delle retribuzioni, la sospensione quinquennale del contratto di lavoro, il blocco del turn over, gli incarichi aggiuntivi non retribuiti e così via. Appare curiosa una eventuale omogeneizzazion e in peius lasciando invariate tutte le differenze che esistono».
«I nostri governanti-tecnici – sottolinea Biasioli – conoscono poco e male il diritto del lavoro nella Pa: nel pubblico impiego sono ampiamente previste sanzioni di ogni tipo, sospensioni dal lavoro e licenziamenti, con o senza reintegro sul posto di lavoro. Non solo, ma questo reintegro avviene “solo a domanda” e “con consenso di entrambe le parti interessate”. Allora, chi può sostenere che l’art.18 non si applica nelle pubbliche amministrazioni? o che nella Pa non è possibile licenziare?».
Troise ricorda che il blocco della contrattazione fino al 2015 a cui il pubblico impiego è sottoposto con le ultime manovre, porta un danno economico che i privati non conoscono e, sottolinea, «dove si dice che gli stipendi del pubblico impiego sono aumentati negli ultimi dieci anni più del privato, si fa riferimento a settori non contrattualizzati (magistratura universitari forze armate, corpo diplomatico) perché scuola e Sanità hanno rispettato i tetti di inflazione fissati dai comitati di settore. C’è quindi semmai un problema di omogeneizzazione di tutele e di rispetto delle differenze», afferma.
La riforma del mercato del lavoro secondo il segretario Cosmed dovrebbe avere due obiettivi: ridare dignità al lavoro pubblico e privato e aumentare l’occupazione. Ma per quanto riguarda il rafforzamento della tutela in entrata «non mi pare – spiega Troise – che la riforma riguardi i medici perché i professionisti con partita Iva sono esclusi da un problema di stabilizzazione e d’altra parte ormai si diffonde tra medici il contratto libero professionale che dovrebbe essere un rapporto tra pari, ma nasconde uno squilibrio di forza tra chi detta condizioni e chi le subisce. Tra l’altro con l’abolizione dei minimi ordinistici il valore orario del lavoro medico è oggi ai valori più bassi del mercato. Per quanto riguarda il problema della flessibilità in uscita abbiamo sempre chiesto strumenti per intervenire: è assurdo che per un professionista il rapporto di lavoro si configuri come un “tutto” o “niente”. Abbiamo chiesto anche un part-time vicino alla pensione per ridurre l’orario o sul cambiamento di mansioni. Mi pare che anche in questo senso la riforma non dica molto, prevedendo solo il licenziamento come strumento di flessibilità in uscita. Ma i licenziamenti disciplinari sono già presenti nel pubblico impiego, sono codificati e c’è anche tutta una serie di sanzioni che vanno dalla sospensione fino a sei mesi dello stipendio fino al licenziamento per sanzioni disciplinari o per violazioni del comportamento disciplinare».
Sui licenziamenti per ragioni economiche, Troise e Biasioli ricordano la difficoltà in particolare nel Ssn di individuare il soggetto che dovrebbe lamentare i problemi economici: il datore di lavoro è la Regione perché la Asl non fa altro che distribuire fondi che da questa riceve e in più le difficoltà economiche che lamenta un’azienda potrebbero essere causate non tanto dalla catena di lavoro quanto dalla catena di responsabilità. Il licenziamento per motivi economici in Sanità, sostiene Troise, potrebbero costituire «una sorta di ricatto, l’induzione a un’attività finalizzata al lucro dove i princìpi etici e deontologici imporrebbero altri comportamenti».
«È scontato – chiarisce Biasioli – che le regole dello Statuto dei lavoratori si applicano anche ai dipendenti pubblici. È così in base alla legge 300/1970 e al Dlgs 165/2001. In breve: la legge 300/1970 «si applica alle pubbliche amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti». In altri termini, le norme di legge prevedono, per la Pa, diverse fattispecie di licenziamento e di sanzioni: licenziamento per regioni economiche, disciplinari, per responsabilità professionali e dirigenziali, per fatti giudiziari. Sanzioni, per cause molteplici». Su tutti l’esempio del licenziamento per ragioni economiche, il più controverso e dibattuto.
Biasioli e Troise spiegano che l’articolo 16 della legge 183/2011 (modifica del Dlgs 165/2001) dice che in presenza di esubero di personale nella Pa (ricognizione annuale) e in relazione a esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, le amministrazioni pubbliche devono valutare se il personale in esubero possa essere reimpiegato in loco o possa andare in mobilità. Se non è possibile, il personale viene, di fatto, licenziato, con copertura economica per 24 mesi (80% stipendio, indennità integrativa speciale e assegno familiare). «Questa situazione finanziaria valida per la Pa analoga alle “esigenze economiche” della neoriforma dell’art.18», sottolinea Biasioli che ricorda anche come, nel caso degli Enti locali, la violazione del patto di stabilità e lo splafonamento delle spese per il personale sono ragioni sufficienti per la risoluzione del rapporto di lavoro, senza possibilità di reintegro.
«Nel pubblico impiego la valutazione delle eccedenze con un provvedimento di mobilità con provvedimenti di disposizione all’80% dello stipendio per due anni sono equivalenti alla cassa integrazione, dopodiché il dipendente può essere licenziato per ragioni organizzative», conferma e conclude Troise.
Ilsole24ore.com – 6 aprile 2012