All’ultimatum coreano di Monti, pronto a fare un passo indietro «se il Paese non è pronto», occorreva dare risposta. Mostrare pubblicamente che esiste una maggioranza desiderosa di proseguire sul cammino delle riforme, con i partiti che la compongono pronti a fare la loro parte.
L’intesa raggiunta ieri su riforme istituzionali e legge elettorale da Agelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini è anzitutto questo: un messaggio finalizzato a rassicurare il premier e il Capo dello Stato, sgombrando il campo dalle voci di questi giorni su crisi e prematuri ritorni al voto. In realtà all’inizio il clima non era dei migliori vista la tensione sull’articolo 18. Bersani ha ribadito che la disciplina sui licenziamenti proposta dal governo «va modificata» e che non si può pensare di blindare il testo con la fiducia. Un’eventualità che invece non escludono Alfano e Casini. Ma poiché ieri – come ha detto il leader dell’Udc – era necessario che la politica «battesse un colpo», la questione è stata tolta immediatamente dal tavolo apparecchiato per condividere il desco su riforme costituzionali e legge elettorale.
I tre decidono di uscire dalle quasi due ore di incontro, svoltosi nell’ufficio di Berlusconi, con una nota congiunta («fatto di per sé importante», dice Bersani) in cui si formalizza il via libera alla riduzione dei parlamentari e al rafforzamento dei poteri del premier «parallelamente» alla riforma del Porcellum: un proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 5%, senza premio di coalizione ma dove verrà mantenuta l’indicazione del premier. Di fatto si apre la strada ad alleanze post-voto. Lega e Idv ma anche i prodiani del Pd gridano allo scandalo. E anche nel Pdl più di qualcuno non sembra affatto contento. Roberto Maroni parla di «porcata» e Umberto Bossi avverte: «Per passare in Aula dobbiamo essere d’accordo un po’ anche noi».
Una legge elettorale di questo tipo è di fatto un viatico a proseguire l’esperienza della grande coalizione anche dopo il 2013. E non esclude neppure che a guidarla sia sempre Mario Monti. Il venir meno dell’incentivo al mettersi insieme – il premio di maggioranza che oggi è assegnato alla Camera verrebbe sostituito da un piccolo surplus di parlamentari al partito che otterrà i maggiori consensi – assieme all’introduzione di uno sbarramento relativamente alto darà libertà ai grandi partiti di correre da soli e di non ricercare a tutti i costi alleanze «obbligate» (copyright di Bersani). In mancanza di un grande vincitore in grado di poter governare da solo si apre la strada ad accordi post-elettorali rendendo così l’indicazione del premier meno vincolante per il Capo dello Stato rispetto a quella attuale. «Sarà il partito che avrà ottenuto più voti a indicare il presidente del Consiglio», ha garantito Alfano. In questo modo – ha aggiunto Gaetano Quagliariello, che assieme a Ignazio La Russa e agli sherpa di Pd e Terzo Polo ha accompagnato al vertice il segretario del Pdl – «si costituzionalizza il lodo Napolitano evitando che chi vince le elezioni vada all’opposizione», come è avvenuto con la nomina di Monti che – ci tengono a sottolineare i pidiellini – è stata «concordata con Berlusconi» altrimenti non sarebbe potuta avvenire
ilsole24ore.com – 28 marzo 2012