Non sarà bello, ma pare indispensabile garantire l’anonimato al dipendente pubblico che denuncia gli atti di corruzione. E anche se poco commendevole, sarà utile anche la taglia in forma di premio.
Perché la guerra è guerra. «E la corruzione è un fenomeno che sgomenta perla sua ramificazione», dice la ministra Annamaria Cancellieri (Interno). Cosi, elmetto in testa, stiamo per approdare alla delazione. In gergo tecnico si chiama «whisteblowing» e ce lo chiede l’Europa, il famoso gruppo «Greco» (Group of States against Corruption). «Ma naturalmente bisogna fare molta attenzione», spiega il direttore dell’ufficio Public Governance dell’Ocse, Rolf Alter, ospite d’onore ieri al seminario sulle nuovo regole anticorruzione organizzato dal ministro Filippo Patroni Griffi (Pubblica amministrazione).
Alter è giunto in Italia per complimentarsi con questo governo che finalmente sta varando misure draconiane contro la corruzione. Vede con precisione, però, i rischi intrinseci alla delazione con premialità: «Bisogna ben bilanciare i diritti di chi è oggetto della denuncia con quelli di chi è il denunciante. Comunque il “whisteblowing” nei Paesi dell’Ocse dove è utilizzato si è dimostrato uno strumento estremamente efficace. Ha fatto scoprire numerosi casi di corruzione, tanto da diventare in ultima istanza uno strumento di prevenzione. Se sai che puoi essere preso, è uno stimolo a essere corretto… Ma è uno strumento da usare con estremo equilibrio e precisione».
Qualche dubbio lo nutre anche la Corte dei Conti. Alessandra Pomponio, viceprocuratore generale, ricorda bene quando il processo contabile garantiva l’anonimato a chi denunciava. Bei tempi. Poi il legislatore ha imposto la trasparenza assoluta del processo. «Anche per i processi in corso, per i quali i denuncianti ritenevano di essere tutelati. Questa è una delle ragioni per le quali sono diminuite le segnalazioni provenienti dall’interno delle pubbliche
amministrazioni». E ora che arriverà il “whisteblowing”? «Vanno viste con favore le iniziative di tutela del denunciante. Anche se andrà necessariamente approfondita la tematica». Si rischia d’impattare con i motivi di nullità dei processi previsti da una legge del 2009.
Perfino la Banca d’Italia, chiamata al capezzale di un Paese piagato dalla corruzione, ha più di una perplessità. «Benissimo le misure di contrasto – spiega Magda Bianco, direttrice della Divisione Economia e Diritto – e anche gli incentivi a chi, partecipando a un accordo corruttivo, decida di “deviare” perché trova più conveniente accedere a programmi di clemenza. Ma con molti caveat». Conclusioni del ministro Patroni Griffi: «La corruzione provoca danni sul piano economico, sociale e morale. E’ meglio riuscire a prevenire questi danni prima che si verifichino».
La delazione? «Meglio dell’omertà» scriveva ieri Massimo Gramellini nel suo Buongiorno. «Una medicina orrenda che ci tocca assumere per non morire di mazzetta», anche se non dobbiamo sottovalutare gli inevitabili (soprattutto in Italia) «effetti collaterali». Una posizione condivisa, oltre che dall’Ocse, anche da Corte dei Conti e Banca d’Italia.
La Stampa – 26 marzo 2012