II comune non può pubblicare, senza un valido motivo di interesse pubblico, lo stato di salute del dipendente. Se lo fa deve risarcire il danno, che potrà essere accertato in base alla sola esistenza del paterna d’animo del lavoratore, provocato dalla arbitraria divulgazione dei suoi dati supersensibili.
Lo ha stabilito la sentenza n. 2034 del 13 febbraio 2012 emessa dalla Corte di cassazione, con la quale è stata confermata la pronuncia del giudice di primo grado che ha condannato un comune sardo al risarcimento di ben 16.000 euro nei confronti di un suo dipendente, per violazione del codice della privacy. Nel caso di specie, il lavoratore ha chiesto all’ente di appartenenza che venisse riconosciuto il legame tra la malattia cui andava affetto e il lavoro prestato per lo stesso ente. Quest’ultimo ha rigettato la domanda e, successivamente, ha pubblicato un provvedimento nel quale sono stati inseriti tutti i particolari relativi alla malattia del lavoratore, comprese diagnosi, cause, natura ed effetti della stessa. Il lavoratore ha, quindi, deciso di rivolgersi al giudice per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito a seguito della divulgazione delle informazioni attinenti alla sua intimità. La Corte di primo grado, oltre a stabilire l’illegittimità del provvedimento, ha condannato l’amministrazione a risarcire il danno patito dal dipendente. Secondo il giudice cagliaritano, infatti, con la pubblicazione di quei dati il comune avrebbe violato, oltre che l’articolo 2 della Costituzione, i limiti di pertinenza e non eccedenza del trattamento dei dati personali previsti all’articolo 11 del decreto legislativo 193/2006. L’ente non ha condiviso il verdetto del giudice cagliaritano e ha deciso portare la lite in Cassazione. Secondo lo stesso, infatti, il danno patito dal dipendente non sarebbe stato concretamente provato. La Corte romana, con la sentenza in rassegna, chiarisce che se è vero che la semplice pubblicazione illegittima non comporta sempre un danno, è altrettanto vero che per ottoncrc un risarcimento basta che il giudice accerti un patema d’animo nel lavoratore, provocato della divulgazione dei suoi dati riservati. Ciò perché il provvedimento che rivela, senza un valido motivo, i richiamati dati provoca nel dipendente non solo un stato di disagio, imbarazzo o preoccupazione, ma anche un’incertezza sul numero di persone che verranno a conoscenza dei fatti. In tal senso, il dipendente si troverebbe nell’incapacità di relazionarsi con le persone che incontra, perché non sarebbe in grado di capire se i suoi interlocutori sono o meno a conoscenza del suo stato di salute. Per tali motivi la Corte romana ha scelto di confermare quanto già stabilito dal giudice di primo grado, confermando la condanna dell’ente L’effetto della sentenza è quello di rendere più facile la prova del danno per il lavoratore nel caso in cui il datore si renda colpevole di violazioni del codice della privacy. La decisione, peraltro, può essere estesa anche ai datori di lavoro privati, essendo anche questi ultimi tenuti, al pari dei primi, a osservare le norme che tutelano la riservatezza dei lavoratori.
— deve risarcire il danno il comune che diffonde dati sanitari del dipendente pubblicando un provvedimento all’albo pretorio
— è indennizzabile il paterna d’animo del lavoratore in ansia perché non sa quanti siano venuti a conoscenza della sua patologia
ItaliaOggi – 9 marzo 2012