Agrigento: chiuso cinque anni dopo l’inaugurazione perché stava crollando. Verona: le barelle non entrano negli ascensori perché hanno sbagliato le misure. Bergamo: l’acqua penetra ovunque perché l’hanno costruito su una palude. Ostia: è pronto da mesi, ma non apre perché manca l’elettricità. E così via…
Ospedale San Camillo (Roma)Sul piatto, venticinque miliardi. Più della metà degli ospedali italiani era già lì nel 1950, e per questo una legge del 1988 mette continuamente a disposizione soldi per ristrutturarli, adeguarli e modernizzarli. Perché se vengono meno il decoro dei luoghi, l’igiene, la macchina dello smaltimento dei rifiuti e, soprattutto, la funzionalità dei locali destinati a ospitare le apparecchiature hi-tech salvavita non si può più curare nessuno. E di certo si mina la funzionalità di un sistema sanitario, il nostro, che è tra i migliori al mondo.
Come si appesantisce il lavoro di migliaia di professionisti della sanità costretti a lavorare spesso in condizioni avvilenti. Il risultato è devastante. E colpevoli sono i politici e gli amministratori da loro nominati. Che gestiscono i soldi per mantenere le strutture. Così mentre la qualità della medicina italiana tiene, nonostante tagli e blocchi del turn over, a cedere sono le strutture. E, nonostante i tanti soldi a disposizione per rimetterle a posto, il panorama è desolante.
Basti pensare che una buona parte di quei 25 miliardi non sono mai nemmeno riusciti a spenderli: lo rivela la Corte dei Conti che ha indagato sull’ultima tranche di 17 miliardi e scoperto che ne sono stati utilizzati circa il 40 per cento. Mentre oltre un miliardo è tornato nelle casse dello Stato perché i progetti che doveva finanziare sono finiti nel nulla. Colpa della ferraginosità delle procedure, ma colpa soprattutto del fatto che ogni possibile appalto genera appetiti e per questo alimenta conflitti tali da paralizzare tutto. E a volte, è una fortuna. Perché andando a vedere come sono stati impiegati i soldi spesi abbiamo scoperto che, molte, moltissime volte, sono stati letteralmente buttati via. E altrettanto spesso sono stati solamente il volano per alimentare un business niente affatto interessato a garantire la salute degli italiani.
SOLDI BUTTATI
Accade tanto per insipienza quanto per permettere guadagni illeciti, ma è certo che milioni sono andati in fumo per colpa di errori di progettazione o pessima esecuzione dei lavori. Come a Bergamo: 500 milioni di euro per un ospedale che affoga. Sì perché è stato costruito sopra una palude. E l’acqua filtra nel cemento, nei parcheggi, nei tunnel. Allungando i tempi e i costi di costruzione del gigante da 36 sale operatorie e 1.200 letti, perché gli extra-costi per le opere di impermeabilizzazione e messa in sicurezza lievitano giorno dopo giorno. Come sono stati scelti i terreni a Bergamo? E come sono stati scelti a Caserta? Da10 anni si aspetta il nuovo Policlinico universitario da mille posti, con un susseguirsi di appalti e ritardi, e un incongruo straordinario: a meno di 500 metri dai futuri reparti ci sono due cave di pietra che rendono il luogo tutt’altro che salubre.
Kafkiana, come la storia dell’eliporto del Santissima Annunziata di Sassari: progettato, costruito e mai completato. La commissione tecnica ha stabilito che la piattaforma è in grado di reggere solo il peso di un piccolo elicottero. E quelli in attività, normalmente impiegati per le emergenze, sono invece belli grandi.
Insipienza? Non sempre però. La magistratura indaga al San Giovanni di Dio di Agrigento. Inaugurato nel 2004, cinque anni dopo è stato chiuso per gravi carenze strutturali: nei “pilastri portanti c’è più sabbia che cemento”, secondo la perizia della Procura. Come a Giarre, nel catanese, dove la sabbia l’hanno scoperta i tecnici della Asl dopo una serie di crolli. Gli ultimi due in tre mesi: a novembre pioveva e dal tetto è caduto uno strato di intonaco; e il 19 agosto scorso era toccato al controsoffitto del locale riservato al 118. Ma da tempo alcune zone del complesso ospedaliero sono chiuse al pubblico per la pioggia di calcinacci, così come diversi muri continuano a sbriciolarsi e molte pareti sono aggredite e scrostate dall’umidità.
QUALCUNO CI GUADAGNA
Il nuovo mantra dell’edilizia sanitaria è “project financing”: in cambio dei lavori la Regione versa un canone annuo e gli appalti e la gestione di beni e servizi è data alle società che hanno vinto le gare. Come accade al nuovo ospedale All’Angelo di Mestre costato 241 milioni versati da un network di imprese private. Ma la formula del project financing vuole che ora gli edifici siano di proprietà della regione Veneto, la quale si è impegnata a pagare per 24 anni un canone di 54,5 milioni. Insomma: a conti fatti L’Angelo sarà costato 1,3 miliardi di euro. Troppi anche secondo la Commissione sanità dello stesso consiglio regionale. E non proprio ben spesi, visto che le porte sono troppo piccole per il passaggio delle barelle e, già pochi mesi dopo l’apertura, c’erano infiltrazioni di acqua nel servizio di radioterapia
L’Espresso – 7 marzo 2012