Nessuna tassa per chi possiede un pc collegato alla rete, tablet e smartphone. Lo precisa la Rai, chiarendo che la lettera inviata si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti abbiano già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più televisori.
La tassa per le imprese
Quasi un miliardo di euro. È la cifra che le imprese italiane dovranno sborsare per il canone «speciale» Rai imposto «a chiunque detenga, fuori dall’ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezioni di trasmissioni radiotelevisive». Nel mirino imprese, società, uffici, dunque. E calcolando la presenza di quasi 5 milioni di aziende, si arriva alla bella cifra di 980 milioni di euro richiesta complessivamente da viale Mazzini con il nuovo balzello. E chi non paga è soggetto a pesanti sanzioni da parte degli organi di vigilanza.
Chi effettuerà i controlli
Ma chi farà le verifiche? E quando scatteranno i blitz? «I controlli? E che ci vuole? Poiché si tratta un tributo, la Rai, ma anche l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, tra un paio di mesi, potranno entrare nelle aziende per effettuare le verifiche» osserva il presidente di Adusbef, Elio Lannutti che nelle prossime ore presenterà un’interrogazione parlamentare contro quello che definisce come un «balzello assurdo». «Scateneremo il finimondo contro questa misura assurda – aggiunge Lannutti, che è anche senatore Idv -: siamo disposti ad andare davanti al Tribunale. Porteremo la questione all’attenzione della Corte Costituzionale, e se non basa ricorreremo anche alla Corte europea». «Infatti non è ammissibile che qualunque apparecchio elettronico possa essere sottoposto al pagamento».
La denuncia delle imprese
Ed anche secondo Rete Imprese Italia «quella del canone speciale Rai è una richiesta assurda perchè vengono tassati strumenti come i computer che gli imprenditori utilizzano per lavorare e non certo per guardare i programmi Rai». Tanto più se si considera che il Governo «spinge proprio sull’informatizzazione per semplificare il rapporto tra imprese e Pubblica amministrazione. In questo momento di gravi difficoltà per i nostri imprenditori, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un altro onere così pesante e ingiustificato». Perciò Rete Imprese Italia chiede l’intervento del Governo e del Parlamento per esonerare le aziende dal pagamento del canone tv. In una lettera inviata al Presidente del Consiglio Mario Monti e al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, Rete Imprese Italia sollecita l’esclusione da qualsiasi obbligo di corrispondere il canone in relazione al possesso di apparecchi che fungono da strumenti di lavoro per le aziende, quali computer, telefoni cellulari e strumenti similari.
Il gettito Rai
Dal canto suo la Rai precisa che le lettere fatte partire sulla questione del pagamento della tassa su pc, «non si riferiscono al canone ordinario (relativo alla detenzione dell’apparecchio da parte delle famiglie) ma si riferiscono specificamente al cosiddetto canone speciale cioè quello relativo».
Di fatto, con questo nuovo balzello, viale Mazzini punta a incrementare in notevole misura raddoppiare il gettito del canone. Basta pensare che l’incasso nel primo bimestre del 2011 per i canoni di abbonamento radio e tv è stato di 938 milioni di euro.
leggi anche “Consulenti Rai in stato di gravidanza a rischio licenziamento e richiesta del canone per i pc tutta da dimostrare?” (ore 9 – 21 febbraio)
E appena calato il sipario sul Sanremo di Celentano che subito la Rai ha vissuto ieri un’altra giornata di fuoco.
Sulla graticola, per prime, sono finite le «consulenti» che in Rai (ma anche a Mediaset e in molte altre grandi aziende) spesso vengono utilizzate per mansioni diverse dalla consulenza. Così «Errori di stampa», il coordinamento dei giornalisti precari di Roma, ha denuncato come nei contratti esisterebbe una clausula secondo cui «se una donna rimane incinta la Rai potrà valutare l’incidenza della gravidanza sulla produttività della lavoratrice» e, se questa ne risultasse compromessa, si riserva sostanzialmente di risolvere il contratto. Il direttore generale, Lorenza Lei, ha dato mandato agli uffici di «valutare interventi sulla clausola» perchè in Rai sono saltati sulla sedia. Viale Mazzini «non ha mai cacciato nessuna donna in gravidanza — spiegano all’ufficio del personale Rai — e quella clausula serve alla lavoratrice che a causa della gravidanza può anche chiedere la risoluzione o la sospensione del contratto; le consulenti non sono tutelate dallo Statuto dei Lavoratori, ma la Rai certo non costringe a lavorare una donna incinta che non se la sente». E se se la sente? «Nessuno la caccerà mai, non è mai successo, nè mai succederà; le facciamo persino lavorare da casa per non perdere lo stipendio…». Certo, ma forse i contratti andrebbero scritti un po’ meglio, anche per evitare la selva di polemiche che su questo tema (dai sindacati ai partiti, tutti critici).
COSÌ come sarebbe più opportuno sentire il competente ministero dello Sviluppo Economico prima di estendere autonomamente la richiesta di canone anche ai computer e agli smartphone delle aziende. Perché qualcuno, questa volta, pare aver peccato di eccesso di zelo. L’ufficio legale della Rai, su input del cda, ha infatti rispolverato il regio decreto del 1938, che all’articolo 27 sancì l’imposizione del canone a tutti gli «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive». Forti del «diritto», in Rai hanno mandato a molte imprese «morose» rispetto al canone, una lettera in cui chiedevano il pagamento dell’imposta. Il problema è che il ministero di Passera non ha mai dato il via libera a un simile «ampliamento automatico» della platea dei contribuenti mentre l’Agenzia delle Entrate sì, pregustando — ovviamente — un ulteriore introito di circa 1 miliardo di euro (la maggior parte del canone finisce infatti all’erario). Peccato, però, che la questione sia tutta da chiarire. Intanto c’è già chi, lettera della Rai alla mano, ha fatto ricorso al giudice di pace.
Il Resto del Carlino – 21 febbraio 2012