È morto a 98 anni il biologo e genetista Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel 1975. Dulbecco, ha spiegato Paolo Vezzoni, uno dei suoi più stretti collaboratori al Cnr di Milano, è morto in California dove viveva con sua moglie. Fino a qualche mese fa le sue condizioni di salute erano buone ma nell’ultimo periodo aveva accusato alcuni problemi circolatori. Il prossimo 22 febbraio avrebbe compiuto 98 anni.
Dulbecco aveva scoperto negli Stati Uniti, dove si era trasferito 50 anni fa, il meccanismo d’azione dei virus tumorali nelle cellule animali, scoperta per la quale è stato insignito del Nobel. E’ grazie a lui se oggi sappiamo che i tumori sono malattie dai mille volti che vanno aggrediti attraverso il loro Dna.
Nonostante avesse la cittadinanza americana dal 1953, Dulbecco ha sempre mantenuto un forte legame con l’Italia, tanto da essere considerato il padre delle ricerche italiane sulla mappa del Dna, condotte presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Milano.
Solo l’età avanzata e le condizioni di salute precarie hanno interrotto la spola tra Milano e La Jolla, in California, dove viveva e lavorava presso l’istituto Salk. Tuttavia la sua presenza in Italia ha lasciato tracce significative, sia nei risultati scientifici sia nella difesa del valore della ricerca. Al punto che nel 1999 non ha esitato ad accettare l’invito a condurre il Festival di Sanremo insieme a Fabio Fazio, devolvendo il compenso a favore del rientro in Italia di cervelli fuggiti all’estero. Un’iniziativa simbolica che ancora oggi prosegue nel Progetto Carriere Dulbecco promosso da Telethon.
Non è stato solo il palco di Sanremo a favorire la popolarità di Dulbecco: il suo sorriso spontaneo, la cortesia innata e il grande entusiasmo per la ricerca hanno fatto di lui uno «scienziato gentiluomo», schierato in prima fila nelle battaglie a favore della ricerca sulle cellule staminali e per reintrodurre l’Evoluzionismo nei libri scolastici. Nato a Catanzaro il 22 febbraio 1914, Dulbecco si avvicina alla scienza spinto dalla passione per la fisica e arriva alla medicina dopo avere «assaporato» anche chimica e matematica. A 16 anni si iscrive alla facoltà di Medicina dell’università di Torino e segue i corsi dell’anatomista Giuseppe Levi insieme a Rita Levi Montalcini e Salvador Luria. Si laurea con lode nel 1934. Durante la seconda guerra mondiale è ufficiale medico sul fronte francese e poi su quello russo dove, nel 1942, rischia di morire.
Rientrato in Italia, nel dopoguerra torna a Torino. Nel 1947 la grande decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per raggiungere Luria, che lavorava lì già dal 1940. Un viaggio che cominciò con una sorpresa: «senza saperlo, ci ritrovammo sulla stessa nave», raccontava mezzo secolo più tardi ancora divertito, ripensando all’incontro inatteso con Rita Levi Montalcini. «Facevamo lunghe passeggiate sul ponte parlando del futuro, delle cose che volevamo fare: lei alle sue idee sullo sviluppo embrionale e io alle cellule in vitro per fare un mucchio di cose in fisiologia e medicina». Sono le strade che entrambi seguono negli Usa e che portano Dulbecco nel California Institute of Technology (CalTech), dove ha una cattedra e comincia ad occuparsi di tumori.
Nel 1960 fa la scoperta che nel 1975 lo porterà al Nobel: osserva che i tumori sono indotti da una famiglia di virus che in seguito chiamerà «oncogeni». Nel 1972 lascia gli Usa per Londra, come vicedirettore dell’ Imperial Cancer Research Fund. Dopo il Nobel, condiviso con David Baltimore e Howard Temin, ritorna all’Istituto Salk per studiare i meccanismi genetici responsabili di alcuni tumori, in primo luogo quello del seno. Il suo rientro in Italia, nel 1987, coincide con l’avvio del Progetto internazionale Genoma Umano, del quale Dulbecco diventa coordinatore del ramo italiano. Un’esperienza che si arena nel 1995 per mancanza di fondi e che lo riporta negli Stati Uniti
La Stampa – 20 febbraio 2012