A 8 chirurghi su 10 capita di evitare interventi andando oltre la normale prudenza. Medicina difensiva è il nome di un nuovo spreco. A volte il dottore fa fare esami inutili per proteggersi da future cause. Oppure rinuncia a operazioni per evitare rischi. Conto finale: 12,6 miliardi extra
Ogni anno milioni di visite, analisi e accertamenti diagnostici inutili se non dannosi per prevenire i contenziosi legali con i pazienti se il decorso di una malattia non prende la piega giusta. Una consuetudine oramai dilagante che ha anche un rovescio della medaglia ancora più insidioso per la nostra salute: quello dei medici che non mettono mano al bisturi o non sottopongono i propri pazienti ad esami invasivi quando il rischio c’è ma vale la pena correrlo.
Gli addetti ai lavori la chiamano «medicina difensiva» e in media tre camici bianchi su quattro ammettono di averla praticata più di una volta l’anno, per difendersi appunto dall’ondata di contenziosi legali che sta sommergendo la nostra sanità, pubblica e privata. Un nuovo business per associazioni e studi legali specializzati nella causa sanitaria, che oramai acquistano persino spazi pubblicitari su stampa e tv pur di arruolare sempre più pazienti «impazienti» di ottenere il risarcimento di danni veri o presunti.
«Credo sia venuto il momento di disincentivare comportamenti opportunistici come la medicina difensiva mettendo qualche punto fermo» annuncia a «La Stampa» il ministro della Salute, Renato Balduzzi, che sul «come» non si sbilancia, anche se da tempo nel suo dicastero si sta cercando di mettere a punto un nuovo sistema di ticket che disincentivino il ricorso a prestazioni in appropriate.
«La medicina difensiva, passiva, ma soprattutto quella attiva – chiarisce il ministro – influisce sul sistema dell’equilibrio economico-finanziario ed entrambe hanno un impatto pesante in termini di tutela della salute, influenzando, soprattutto quella attiva, anche la programmazione del sistema».
Il problema, come puntualizza Balduzzi, non è solo di tutela della salute ma anche di costi per Stato e famiglie. L’iper-prescrizione di farmaci, visite e analisi costa infatti 12,6 miliardi l’anno, ben l’11,8 per cento dell’intera spesa sanitaria complessiva, secondouna recente indagine commissionata dall’Ordine dei medici di Roma all’Università Federico II di Napoli.
Un mare di denaro sprecato al quale andrebbe sommato quello delle circa 35 mila cause «sanitarie» l’anno, che nella quasi totalità dei casi si concludono con l’archiviazione ma che mettono sulla difensiva buona parte dei dottori d’Italia.
La stessa indagine dell’Ordine rivela che oltre il 60 per cento dei medici ha prescritto in una o più occasioni farmaci non necessari in un’ottica di medicina difensiva, mentre il 75 per cento lo ha fatto per le visite specialistiche e quasi il 90 per cento per gli accertamenti diagnostici. Una «ansia da esame» che finisce per allungare le liste d’attesa ritardando così anche le diagnosi di chi ha problemi di salute seri.
L’aspetto più inquietante resta però quello dei chirurghi che non mettono mano al bisturi quando l’intervento è a rischio ma necessario: ben 8 su 10 andrebbe «oltre le normali regole di prudenza» secondo un’altra recente indagine, quella del Centro studi Federico Stella che fa capo all’Università Cattolica di Milano.
Ma «anche la tendenza a voler fare tutto a tutti per non incappare in contenziosi – spiega Carlo Nozzoli, presidente della Federazione dei medici internisti (Fadoi) – può avere ripercussioni negative sul quadro clinico dei pazienti, soprattutto su quelli anziani soggetti a più patologie».
«A una certa età una Tac eseguita con mezzi di contrasto – cita a mo’ di esempio – può generare danni anche gravi in chi ha una funzionalità renale già compromessa».
Ma per arginare il fenomeno «i medici hanno un’arma ed è quella del dialogo con il paziente e i suoi familiari per la condivisione dei rischi e dell’approccio terapeutico» spiega il professor Vincenzo Denaro, ortopedico di fama internazionale e preside della Facoltà di Medicina dell’Università Campus Bio Medico di Roma. «Qui al Policlinico del Campus parliamo molto con i malati e il problema praticamente non esiste ma è anche vero che troppi avvocati spregiudicati oramai speculano sui malati vessando i medici», denuncia il professor Denaro.
Che lancia anche una proposta: «Quando si innesta un’azione legale la magistratura deve farsi affiancare da medici affermati nel proprio campo e non da chi lo fa solo per arrotondare». Un mezzo per scoraggiare quel fenomeno della «frivolous lawsuit», la denuncia senza reale fondamento, ben nota negli Stati Uniti e con la quale stanno facendo ora i conti sia i nostri dottori che i pazienti esposti ai rischi della «medicina difensiva».
lastampa.it – 19 febbraio 2012