I compiti a casa per il governo Monti non sono finiti, e non solo in economia. Al di là dei toni a volte trionfalistici con cui i media italiani hanno seguito la visita negli Stati Uniti del premier Mario Monti, è più interessante cercare di capire che cosa si attende adesso dal governo italiano l’amministrazione americana e la comunità finanziaria, dopo gli incontri avuti dal presidente del Consiglio.
Ebbene, sulla base di informazioni raccolte fra i partecipanti agli incontri e di testimonianze indirette di esponenti governativi, si possono abbozzare alcune risposte.
Insomma, bene il decreto Salva Italia, ottimo il decreto sulle liberalizzazioni e le semplificazioni, però gli Stati Uniti si attendono ancora altro. Lo ha detto senza mezzi termini domenica in televisione alla trasmissione in Mezz’Ora l’economista di origini italiane Gian Luca Clementi della Stern School of business dell’università di New York, che ha partecipato agli incontri alla Borsa americana. Clementi ha detto che la comunità finanziaria americana si attende dal governo italiano il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e una ancora più netta riduzione della spesa pubblica. In altri termini anche se Clementi non lo ha indicato, a Wall Street si attende un intervento chiaro anche sulla riduzione del numero dei dipendenti statali.
Eppure, secondo indiscrezioni convergenti di ambienti della diplomazia, dei 50 minuti di colloquio fra il premier Mario Monti e il presidente Barack Obama soltanto il 20 per cento del tempo è stato dedicato alle questioni più economiche, italiane ed europeo. Circa l’80 per cento del tempo è stato impiegato da Obama per illustrare la strategia del governo degli Stati Uniti nel campo della difesa e della sicurezza internazionale, con inevitabili riflessi italiani ed europei.
Tutto comunque è intrecciato: economia e sicurezza. «La crisi economica», ha scritto l’editorialista Lucia Annunziata sabato scorso sulla prima pagina del quotidiano la Stampa, «sta portando gli Usa a una rimodulazione delle spese militari. I (meno) soldi saranno sempre più impegnati da Washington nei teatri asiatici, per tenere d’occhio i contendenti di domani, Cina soprattutto».
La conseguenza di questa impostazione è che il peso della sorveglianza sulla Russia e la gestione del Medioriente ricadrà sempre più sull’Europa. «Il modello Libia», ha aggiunto Annunziata, che dirige la rivista Aspenia insieme con Marta Dassù, attuale sottosegretario agli Esteri, «è il modello che gli Usa oggi vedrebbero esteso a tutta la zona di influenza europea. Per questo Obama e Monti molto hanno parlato della prossima conferenza sulla nuova Nato che si terrà a maggio a Chicago». Molto ne hanno sicuramente parlato, ma poco ne è stato riferito dai organi di informazione italiani.
«Il terreno è scottante per le opinioni pubbliche europee», dice Annunziata. Infatti questo vuole dire un progressivo e ulteriore abbandono del Vecchio Continente da parte degli Stati Uniti, non solo in termini di uomini, ma anche di mezzi e di risorse, come è stato chiaro nel caso della Libia. Così come è tutta da chiarire la presenza e la gestione delle testate nucleari americane presenti in Europa
ItaliaOggi – 14 febbraio 2012