Monti parla prima al Tg5 Monti e poi, più lungamente, a Matrix e il suo messaggio è un misto tra ottimismo e avvertimenti.
«Se prevarranno le resistenze corporative, gli italiani sappiano che i tassi di interesse ritorneranno verso l’alto: allora sarebbe meglio che studiassimo il greco ma non quello antico, quello moderno». L’incubo della Grecia resta e resta soprattutto ora che comincia la fase delle riforme, dei cambiamenti sulla pelle degli italiani.
Dopo le liberalizzazioni tocca al lavoro, a quell’articolo 18 che il premier dice «non è un tabù» e che tratta con estremo pragmatismo perché «può essere pernicioso per lo sviluppo in certi contesti e abbastanza accettabile in altri contesti». Dunque, concretezza in quel dialogo con i sindacati che deve avere i tempi di «un’Italia europea». Ma la novità di Monti non è il messaggio che manda ai sindacati o alle imprese. No, è il messaggio che invia ai giovani. «L’idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia!». E c’è da scommettere che su questa «monotonia» si scateneranno le polemiche anche perché lui così scavalca il linguaggio politichese e sindacalese e arriva dritto al punto mettendo in discussione tutto un modo di ragionare che forse già non appartiene più alle giovani generazioni. Così come afferra il centro della trattativa in corso: «Ridurre il terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi fa fatica a entrare o entra in condizioni precarie».
Intanto è già andato il pacchetto liberalizzazioni e anche se gli preferisce la parola «concorrenza» il premier fa sapere di aver sfidato i poteri forti «toccando l’Eni» e giustifica poi l’aumento della benzina perché ha consentito di «proteggere dall’inflazione le fasce più basse delle pensioni». Molto è stato fatto in casa, molto anche fuori casa e l’altro obiettivo che Monti celebra è il ritorno del nostro Paese sulla ribalta europea grazie al quale «gli italiani stanno recuperando patriottismo». I negoziati a Bruxelles sul fiscal compact si sono appena chiusi ? e proprio ieri Vittorio Grilli ha detto che «l’Italia si riconosce in quelle regole» ? ma il Professore sottolinea di aver ottenuto di «non appesantire le condizioni del graduale rientro dal debito pubblico italiano» e soprattutto di aver messo agli atti che «la crescita non sarà più un omaggio verbale ma il cuore della politica europea dei prossimi mesi».
Dunque, forse ci saranno meno diktat e rigidità sulla strada che va da Berlino a Bruxelles anche se lui dice di non sognarsi di «bacchettare la Merkel». La domanda però resta. Perché il rigore finanziario e il piano di rientro dal nostro debito pubblico pesa come un macigno sulla via dello sviluppo italiano. «Sono impegni severi ma non impossibili da realizzare se saremo capaci di tornare a crescere». Ad alleggerire lo stock di debito non saranno però le privatizzazioni che sono «una delle possibilità» ma è la «valorizzazione del capitale umano» la scommessa.
Il menù del Governo include ? obbligatoriamente – anche il confronto con i partiti che lo sostengono: i malumori del Pdl e invece il sostegno di Silvio Berlusconi erano i due piatti della giornata politica di ieri.
«Trovo che i malumori siano normali da una parte politica che non è più al governo ma trovo che l’appoggio di Berlusconi sia fondamentale – come quello del Pd e Terzo polo – ma venendo da chi era premier è particolarmente significativo anche perché dà un senso di continuità». Il problema è la strada ancora da fare e le aspettative che i mercati e l’Europa non smettono di avere sull’Italia. Il premier fa notare come i rendimenti sui titoli a breve scadenza siano scesi «proprio perché sono rimasti ben impressionati dal lavoro del Governo mentre ci si interroga su cosa accadrà dopo visto che a primavera 2013 non ci saremo più noi». Ecco, resta lo spread sui titoli a lungo termine perché «gli osservatori si interrogano su quello che succederà più avanti».
È «scontato» che lui alle prossime elezioni non ci sarà. «Sarò ancora vivo, spero, ma senza le responsabilità attuali». E anche se il suo Governo che starà alla larga da «legge elettorale e dalle questioni etiche» è pronto a offrire una ‘parentesi’ ai partiti per ritrovare un’armonia che sarebbe «rasserenante» per i mercati. Ricorda, infine, che fu grazie a Berlusconi che nel ’94 si avvicinò alla cosa pubblica perché lo nominò commissario europeo preferendo quell’incarico a «un posto nel Cda Rai». Guarda caso proprio la Rai, prossima spinosa questione da risolvere.
Il Sole 24 Ore – 2 febbraio 2012