Coldiretti la ama, Federalimentare la odia, gli italiani si stanno ancora domandando come funzionerà e soprattutto se si tratterà dell’ennesimo balzello imposto in un periodo già critico o di un utile incentivo a seguire una dieta più sana.
La tassa sul cibo spazzatura, che il ministro della Salute Balduzzi ha recentemente ribadito di voler introdurre, fa discutere. Serve davvero a stimolare scelte più salutari a tavola? Non esistono alternative efficaci all’aumento del prezzo degli alimenti nocivi?
La prima obiezione di quanti sono contrari a una tassa sul junk food consiste nella difficoltà di stabilire quali cibi siano da considerarsi spazzatura e quali no. La risposta a questa domanda in realtà può essere molto semplice, o almeno lo è quella trovata in Danimarca. Parliamo di un paese i cui governanti non hanno paura di fare scelte coraggiose: lo hanno dimostrato con politiche ambientali senza compromessi e lo confermano imponendo, primi al mondo, una tassa sui cibi che contengono grassi saturi.
Secondo l’Oms i grassi saturi aumentano i livelli del colesterolo cattivo LDL, responsabile di innalzare il rischio di malattie cardiovascolari. La tassa colpisce tutti gli alimenti che contengono più del 2,3% di grassi saturi e consiste in un aumento del prezzo pari a 16 corone danesi (circa 2,15 euro) al chilo. Dalle merendine ai formaggi ai salumi, l’imposta tocca potenzialmente una miriade di prodotti anche tra quelli considerati di consumo quotidiano. Del resto è proprio il consumo quotidiano di alimenti troppo ricchi di grassi una delle cause scatenanti dell’obesità, con tutti i problemi a essa collegati.
In Francia invece hanno preso di mira le bevande zuccherate con la Taxe Soda, entrata in vigore a partire dal primo gennaio di quest’anno. Si calcola che l’imposta porterà 120 milioni di euro di maggiore introito per lo Stato e renderà una lattina di Coca, Fanta o Sprite più costosa per i consumatori, anche se solo di 1 centesimo di euro. La sensazione è che un aumento del genere non contribuirà granché a diminuire l’obesità, ma sicuramente sarà utile per fare cassa.
Tasse simili sono già state imposte in vari Stati americani con risultati spesso deludenti in termini di calo dell’obesità nella popolazione. Uno studio svolto da un team di ricercatori della Northwestern University di Chicago e presentato lo scorso anno al Dipartimento dell’Agricoltura americano, ha stabilito che una tassa sulle bibite zuccherate ha un effetto limitato sulla perdita di peso perché le persone obese consumano già queste bevande nelle versioni light, cioè senza zucchero, non toccate dalle tasse attualmente in vigore negli Usa.
Ma allora come si possono migliorare le scelte alimentari delle persone? Se lo domanda anche l’Eufic, Consiglio europeo per l’informazione sul cibo che, in collaborazione con alcune università e un paio di catene di supermercati, ha varato il progetto Flabel (Food labelling to advance better education for life). Lo scopo dell’iniziativa è arrivare a stabilire se esista e quale sia il miglior sistema di etichettatura nutrizionale per consentire ai consumatori di fare scelte davvero consapevoli.
Il ragionamento alla base del progetto è che per aiutare a scegliere bisogna prima di tutto informare i consumatori in maniera incisiva. Per un anno e mezzo verranno dunque presi in rassegna i sistemi di etichettatura in uso nei diversi Stati membri dell’UE e si individueranno le best practice, ovvero i casi positivi, che funzionano, per fornire poi uno standard scientificamente comprovato cui attenersi.
Ma la ricerca lavora anche per conto proprio sull’argomento e lo fa con metodi spesso assai più spicci. Come accade negli Stati Uniti al Massachusetts General Hospital dove Anne Thorndike, medico di Medicina generale, e i suoi colleghi hanno svolto un esperimento al self-service dell’ospedale. Le “cavie” erano quindi i medici stessi, una categoria che a quanto pare, almeno in America, non brilla per le proprie scelte alimentari sane, forse anche a causa dei menu delle mense ospedaliere.
I ricercatori si sono ben guardati dal fornire indicazioni dettagliate sulla presenza di grassi saturi o sul contenuto calorico dei piatti disponibili alla caffetteria, ma hanno messo a punto un’etichettatura standard ispirandosi ai colori del semaforo. Codice verde per i cibi più sani (frutta e verdura, carni magre), codice giallo per gli alimenti mediamente sani e codice rosso per le scelte in assoluto meno salubri (patatine, bibite zuccherate, fritti).
Controllando come erano cambiate le scelte dei medici con l’arrivo dei codici colorati, i ricercatori hanno scoperto che la presenza del semaforo aveva fatto una certa differenza. Le vendite dei piatti con etichetta rossa erano calate del 9,2%, e quelle delle bevande con bollino rosso addirittura del 16,5%. Per converso i cibi sani avevano venduto il 4,5% in più, con il picco massimo di aumento raggiunto anche in questo caso dalle bibite “verdi”, pari al 9,6%: alla faccia della Taxe Soda.
Messaggi chiari e diretti, quindi, senza troppi giri di parole, ma anche scomodi o sconvolgenti se può servire alla causa? Al Dipartimento per la salute di New York devono aver pensato di sì, dal momento che per la campagna dallo slogan “Cut your portions, cut your risk” (taglia le tue porzioni, taglia il tuo rischio), propongono l’immagine di una persona in sovrappeso e con una gamba amputata, suggerendo che con l’aumentare delle porzioni è aumentato anche il diabete di tipo 2, che può rendere necessarie amputazioni. La polemica infuria, anche perché pare che la persona ritratta nella foto non abbia veramente un arto amputato, ma che la gamba gli sia stata “photoshoppata” via per l’occasione.
E sempre negli Stati Uniti, e per la precisione in Florida, il dibattito su junk food e obesità si arricchisce di un altro spunto polemico. La senatrice repubblicana Ronda Storms si è fatta sponsor di una legge che prende di mira le scelte di quanti beneficiano dei Food stamps, buoni pasto per comprare generi alimentari, forniti alla popolazione più povera nell’ambito di un programma federale.
Andando a fare la spesa al supermercato la senatrice si è resa conto che alcune persone usavano i buoni del governo per comprare cibo spazzatura e ha deciso di proporre una legge per proibirlo. Per i 46 milioni di americani che campano grazie a questi aiuti se un simile divieto trovasse applicazione sarebbe una mannaia sui consumi. Ed è proprio questo ciò che sostiene chi avversa la legge proposta da Storms: a essere colpiti sono sempre i più poveri. Ma a contrastare l’iniziativa, oltre ai difensori dei meno fortunati, ci sono anche parecchi pezzi grossi dell’industria alimentare che, secondo Storms, rastrellano molto denaro grazie ai buoni pasto del governo e non sono disposti a rinunciarci.
Il dibattito è aperto, così come la ricerca del giusto mix di prezzo e informazione che possa riorientare le nostre scelte alimentari e alleggerire la spesa sanitaria.
Panorama – 30 gennaio 2012