Fioccano le sentenze distorsire della riforma Brunetta. Non esiste distinzione tra contratti di diritto pubblico e privato che giustufichi la possibilità di assumere dirigenti a tempo determinato oltre i limiti della riforma.
Non esiste una distinzione tra contratti di diritto pubblico e di diritto privato, finalizzata a giustificare la possibilità per gli enti locali di assumere dirigenti a tempo determinato oltre i limiti percentuali imposti dalla riforma-Brunetta. Nonostante la diretta applicazione a comuni e province dell’articolo 19, comma 6, del digs 165/2001 sia stata acclarata dalla Corte costituzionale e dalle deliberazioni 12, 13 e 14, delle sezioni riunite della Corte dei conti e sebbene l’articolo 1 del dlgs 141/2011 sancisca senza ombra di dubbio che le assunzioni di dirigenti a contratto debbono essere contenute nel limite massimo del 18% della dotazione organica dirigenziale e solo per gli enti virtuosi, si moltiplicano letture finalizzate a rendere elastica la lettura delle disposizioni della riforma. Che, tuttavia, si pongono in contrasto radicale con essa. Tra le ultime, è la deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Toscana, 20 dicembre 2011, n. 519. Secondo la sezione, i limiti percentuali discendenti dall’articolo 19, comma 6, del dlgs 165/2001 non si riferirebbero al caso dell’assunzione di dirigenti a contratto assunti con -contratto di diritto pubblico. Di conseguenza, ritiene la sezione che «nell’ambito della normativa locale possa essere regolata la disciplina del conferimento di incarichi dirigenziali mediante contratto di diritto pubblico, rispettando i limiti sanciti dal citato art. 110 Tuel e delle altre spese che impongono limitazioni agli enti locali in tema di personale.. L’ipotesi, sostenuta anche da alcuni interpreti, dunque sarebbe quella secondo la quale i limiti percentuali riguardano solo i contratti di diritto privato, perché la sentenza 324/2010 della Consulta ha ritenuto legittima la modifica apportata dalla riforma Brunetta all’articolo 19, comma 6, in quanto il legislatore statale ha correttamente esercitato la propria potestà legislativa esclusiva in tema di disciplina del rapporto di lavoro privatizzato. Dunque, conclude la tesi, laddove il rapporto di lavoro non derivi da contratti di diritto privato, bensì pubblico, allora si potrebbe ipotizzare la non applicazione dell’articolo 19, comma 6, e dei suoi tetti agli incarichi a contratto. Si tratta di una tesi assolutamente infondata. Un primo elemento per evidenziarne l’erroneità è data dalla circostanza che il rapporto dei dipendenti degli enti locali rientra tra quelli «contrattualizzati», cioè regolati dalle norme generali del dlgs 165/2001 e dalle regole del diritto civile. Lo stabilisce chiaramente l’articolo 2, comma 2, primo periodo del Testo unico sul pubblico impiego: «I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo.. Lo ribadisce il primo periodo del successivo comma 3 del medesimo articolo: «I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. Dunque, con la sola eccezione dei rapporti di lavoro indicati dall’articolo 3 sempre del dlgs 165t2001, tutti gli altri sono regolati da un contratto: sono, dunque, tutti contratti -di diritto privato», perché la loro fonte di costituzione e di regolazione è privatistica e non pubblicistica. In sostanza, l’ipotesi del rapporto di lavoro di diritto pubblico è venuta totalmente meno, si ribadisce con l’eccezione delle tipologie lavorative specificate dall’articolo 3 del dlgs 165/2001. Di conseguenza, il riferimento ai contratti «di diritto pubblico- contenuto nell’articolo 110 del diga 267/2000 sul quale si basa la teoria secondo la quale gli incarichi a contratto .di diritto pubblico, deve considerarsi un superato ed arcaico residuo del passato: il testo dell’articolo 110 è sostanzialmente rimasto quello dell’articolo 51 della legge 142/1990, approvata quando ancora il rapporto di lavoro dei dipendenti era appunto di diritto pubblico. Infatti, il comma 1 dell’articolo 110 dispone che lo statuto degli enti locali può consentire l’assunzione di dirigenti -possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato.. Secondo il testo della norma, la regola sarebbe il contratto di diritto pubblico, mentre l’eccezione (da motivare) quello di diritto privato. Se così stessero davvero le cose, allora la disciplina dell’articolo 19, comma 6, del digs 165/2001 sarebbe riferita a un’ipotesi solo residuale ed eccezionale. E esattamente il contrario: i rapporti di lavoro sono tutti di diritto privato, compresi quelli di cui parla l’articolo 110 del dlgs 267/2000, che non sfuggono in alcun modo ai limiti percentuali previsti dalla riforma Brunetta.
Italia Oggi – 27 gennaio 2012