Verso il sì ai pagamenti degli arretrati in Rot ma su base volontaria. Il premier: «Il piano ha una sua logica coerente, sconsiglierei ci fare variazioni»
Da Tripoli Mario Monti lancia un messaggio ai naviganti che in Parlamento attendono il decreto liberalizzazioni. Attenzione, dice il premier che ieri si trovava in Libia, modifiche saranno possibili ma molto limitate: il provvedimento varato venerdì ha un filo rosso, «una logica» che lega le varie misure. E che avrà effetti, diretti e indiretti, sulla produttività, il prodotto interno lordo, la crescita dell’occupazione, dei consumi e dei salari. Certo, ammette il professore, si può fare di più come dicono gli osservatori e gli economisti («l’ho detto anch’io in passato»): «Ma chi ha responsabilità del fare, fa il massimo che ritiene fattibile».
Monti si leva la casacca del professore per indossare quella del politico che deve fare i conti delle condizioni date, a cominciare dagli equilibri con i partiti, i terminali di categorie, lobby, interessi. Ma le mediazioni sono state fatte. Adesso in Parlamento si proceda senza falsi passi che possono dare, fuori dell’Italia, l’impressione di un ritorno all’instabilità. Per inciso, domani Monti parteciperà all’Eurogruppo in qualità di ministro dell’Economia e poi avrà il cruciale appuntamento del vertice Ue di fine mese. E deve arrivarci con un ennesimo biglietto da vista credibile. Allora, «il Parlamento è sovrano ma sconsiglieremmo di fare variazioni che dovessero far venir meno la logica di insieme». Il decreto liberalizzazioni «ha una sua logica di insieme che noi, come governo illustreremo al Parlamento e ai partiti così come abbiamo fatto nei giorni precedenti». Insomma, attenzione a cambiamenti, anche parziali, che farebbero crollare l’intelaiatura su cui tutto si regge. Per evitare scossoni in aula, il governo sta ancora mettendo a punto la versione definitiva del decreto. Si parla ad esempio della reintroduzione in extremis della norma per il pagamento degli arretrati dello Stato ai privati in Bot: avverrebbe solo su base volontaria.
Nella strana maggioranza, tranne nel terzo Polo, c’è una insoddisfazione diffusa, ma il malessere nel Pd e nel Pdl difficilmente sfocerà in un’azione significativa sui decreti. C’è chi sostiene che il governo abbia fatto troppo e chi troppo poco. Ma è sempre vero, risponde il premier con il suo solito humour inglese, che «nella vita umana si può fare di più, non solo nel bene ma anche nel male. Abbiamo cercato di fare molto, bilanciando i carichi e i contributi di ogni categoria». Il Professore ha una certezza camuffata dal dubbio: chi vorrebbe fare di più, magari auspica che ciò venga fatto nei confronti di categorie alle quali non si appartiene, allontanando le misure spiacevoli da se stessi. Ma c’è un punto che gli sta molto a cuore: le misure adottate avranno sicuramente effetti benefici sul costo della vita, le imprese e i giovani. La segretaria della Cgil Camusso è scettica. «Sacrosante, avanti così», dice invece la leader degli industriali Marce-gaglia. Poco soddisfatto è Luca Cordero di Montezemolo. In ambienti a lui vicini si esprime delusione per le norme in materia di trasporti: il pacchetto che istituisce l’Autorità per le reti non discuterà della separazione tra Trenitalia e Rfi – la società che gestisce la rete – prima di 6 mesi. Inoltre questa Autorità sembra riempita di troppe competenze, quasi a voler creare un nuovo ministero.
Monti tira dritto e si appella ai partiti. Tocca alle forze politiche convincere le singole categorie che questi provvedimenti sono nell’interessa generale. E le stesse forze politiche dovranno convincersi che la politica non può prendere decisioni a prescindere dai mercati. «Ma perché la riunione del Cdm è durata otto ore?» gli hanno chiesto i giornalisti. Si è parlato di contrasti tra ministri, di pressing dei partiti. Monti ha sfoderato il suo aplomb e l’ironia, negando tutto. «Non mi sono accorto di nulla, non ho visto particolari divergenze. Abbiamo interrotto per mangiare un tramezzino nella stanza accanto perché la sobrietà ha i suoi limiti».
La Stampa – 23 gennaio 2012