C’è una costante nella ormai pluridecennale querelle della multe per le quote latte ed è che non è dato capirci qualcosa. Passano i ministri, ultimamente ne abbiamo avuti ben quattro in poco più di un anno, tutti ripetono più o meno la stessa cosa, eppure siamo sempre lì.
A non sapere nemmeno quanti sono quelli che ancora non hanno aderito alle rateizzazioni, se 1200 circa come dice il ministro, o molte migliaia in più, se si contano anche le multe degli anni ’90.
Eppure il neoministro Mario Catania non dovrebbe essere del tutto digiuno della materia, essendo stato un dirigente del ministero che ha avuto, durante tutta la sua carriera, diverse occasioni per confrontarsi con il tema delle quote e della loro assegnazione. E’ un tecnico, e come tale sarebbe legittimo aspettarsi da lui un chiarimento definitivo, informazioni, dati certi. Facile a dirsi, meno a farsi, evidentemente. Pazientiamo.
Quel che invece suscita qualche perplessità in più è l’atteggiamento dell’Agea, il colosso di Stato che gestisce le erogazioni in agricoltura: abbiamo già parlato di come un’inchiesta dei carabinieri avesse sollevato tali e tanti dubbi sulla regolare assegnazione delle quote e sui numeri gonfiati delle anagrafi bovine da far sospettare che in realtà l’Italia, nel suo complesso, non avesse mai superato la quota assegnatale e che, di conseguenza, i pagamenti pretesi dagli allevatori non fossero in realtà dovuti. Sia di quelli che hanno già pagato, sia di quelli che si ostinano a non farlo.
Non è una cosa da poco, evidentemente: aver gonfiato ad arte il numero di capi presenti nelle anagrafi bovine, ma che non sono mai esistiti nelle stalle, potrebbe aver creato un giro di affari particolarmente lucroso sia sul latte che poteva venire certificato come italiano anche se di diversa origine, e come tale venduto anche nelle filiere del tipico dove l’origine della materia prima è vincolante, sia sulla stessa compravendita delle quote di produzione, che negli anni ’90 rappresentava un giro d’affari considerevole, anche e soprattutto per chi si trovava ad intermediare gli scambi. Una megatruffa, si ipotizza da più parti, andata avanti per decenni, con la complicità interessata di pezzi importanti della burocrazia pubblica e degli apparati sindacali.
Eppure siamo sempre qui, senza certezze, con l’indagine dei carabinieri da una parte e le risposte di segno contrario di Agea dall’altra, e con i sospetti che ogni dichiarazione e ogni cifra fornita sia funzionale ad una posizione politica precostituita piuttosto che alla ricostruzione della verità. Sembrava che Agea si fosse mossa, lo scorso autunno. Certo, si dirà, si era mossa solo dopo che la Lega aveva preteso le dimissioni di Dario Fruscio, l’ex presidente di Agea, e il commissariamento dell’ente, in virtù di un accordo politico tra la Lega stessa e l’allora ministro Romano (che non rimpiangiamo). E si potrebbe eccepire anche che il consulente incaricato di svolgere nuove indagini, definitive, da parte di Agea, sia proprio Marco Paolo Mantile, il tenente colonnello dei carabinieri (oggi in aspettativa come dirigente della regione Veneto – e anche su questo c’è lavoro per i dietrologi) che aveva firmato le risultanze dell’indagine che inchioderebbe la gestione delle anagrafi bovine e delle quote latte di fronte a gravi responsabilità.
Ma se da una parte c’è materia per sospetti, dall’altra c’è la certezza che Agea ora ha cambiato di nuovo atteggiamento, rifiutandosi di fornire a Mantile i dati di cui ha bisogno per svolgere il suo lavoro, stando a quanto denunciano alcuni parlamentari dell’IDV in una recente interrogazione parlamentare. E di qui di nuovo lo stallo, che sembra fatto apposta per poter fornire alle parti in causa nuove occasioni per accusarsi a vicenda, il tutto mentre molti allevatori hanno aderito alle rateizzazioni e stanno pagando multe pesantissime, altri potrebbero essere costretti a farlo a breve e sulla testa dei contribuenti italiani pende il rischio di nuove procedure di infrazione da parte dell’UE.
Un modo molto italiano di gestire la cosa. I fatti sono tali solo se si è prima chiarito a chi convenga che appaiano in un modo o in un altro, in cui all’approfondimento e all’indagine si preferisce sempre il brodo opaco in cui ogni cosa può essere ribaltata e in cui ogni accusa diventa legittima a seconda delle convenienze del momento. Però una cosa è certa: l’indagine dei carabinieri era piuttosto circostanziata e i fatti denunciati tanto gravi da giustificare verifiche approfondite con metodologie chiare e trasparenti. Quelle che si potrebbero fare se Agea non avesse tirato di nuovo il freno a mano.
Libertiamo.it – 17 gennaio 2012