Il Tar annulla un’ordinanza comunale che autorizzava a sparare ai piccioni per prevenire il rischio di patologie: anche per loro valgono le norme sulla protezione della fauna selvatica
Succede che un piccolo Comune della provincia di Ferrara, Bondeno, emani un’ordinanza nella quale si autorizzi “il tiro al piccione” per prevenire il rischio di malattie nocive per l’uomo. E succede che un Tar annulli l’ordinanza perché illegittima.
In effetti, a sostegno dell’originale ordinanza comunale vi era un’istruttoria dell’Asl che confermava la necessità di «prevenire la diffusione di microrganismi patogeni». Ma il Tar ha detto no: il cosiddetto “torraiolo”, meglio noto come “piccione da città“, per quanto viva a stretto contatto con la popolazione, si comporta da animale selvatico e, dunque, la sua presenza sul territorio deve essere contenuta per legge con metodi ecologici.
Prima di dare inizio alla caccia al piccione, quindi, il sindaco dal grilletto facile avrebbe dovuto chiedere il parere dell’Ispra, l’ex istituto nazionale della fauna; del resto l’eliminazione cruenta dei piccioni non può essere l’unico metodo per assicurare il pur necessario controllo demografico sul territorio.
La seconda sezione del Tar Emilia-Romagna, con sentenza 812/11, accoglie così il ricorso delle associazioni ambientaliste, deluse la Coldiretti e l’Arcicaccia che non si sono costituite (come d’altronde lo stesso Comune di Bondeno che ha adottato il provvedimento annullato).
I giudici amministrativi hanno accolto la tesi secondo cui l’ordinanza dell’amministrazione, motivata sulla base di ragioni di salute pubblica, assume per questo la natura di atto contingibile e urgente «in presenza di un fatto eccezionale che non può essere fronteggiato attraverso l’uso degli strumenti tipici disegnati dall’ordinamento», mentre non c’è una vera e propria «emergenza piccioni». Il colombo di città, spiega il collegio, si è “inselvatichito”, vale a dire che mostra abitudini di vita diverse dagli animali puramente domestici: ai fini amministrativi le distinzioni zoologiche non contano e non si può dunque escludere che ai piccioni vada riconosciuta la tutela offerta alla fauna dall’articolo 19 della legge 157/92.
In altre parole: riponete le armi. Non è infatti compatibile con il rispetto dell’ambiente la scelta della libertà di abbattimento degli animali adottata dall’amministrazione comunale, per quanto vincolata al calendario venatorio: si tratta di un’opzione individuata come alternativa agli specifici strumenti previsti dalla legge che tuttavia non è sostenibile; risulta infatti escluso che l’attività di caccia, avulsa dal suo normale ambito giuridico, possa integrare quel metodo di controllo ecologico indicato dalla normativa.
Qui il testo integrale della sentenza del Tar Emilia-Romagna
N. 00812/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01336/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1336 del 2010, proposto da:
Lac-Lega Per L’Abolizione della Caccia e Animal Liberation, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambe rappresentate e difese, come da mandato a margine del ricorso, dall’avv. Massimo Rizzato, con domicilio eletto presso Niccolò Stanzani in Bologna, Via Barberia, n.30;
contro
Comune di Bondeno, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
Coldiretti Bondeno, Arcicaccia-Comitato Regionale Emilia Romagna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
dell’ordinanza n.84 del 01.09.2010 con il quale il Comune di Bondeno, al fine di contenere il numero dei piccioni presenti sul territorio comunale consente l’abbattimento di piccioni sul territorio, secondo i tempi stabiliti dal calendario venatorio;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2011 il dott. Giovanni Sabbato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 30 ottobre 2010 e depositato il 22 novembre successivo, la LAC – Lega per l’Abolizione della Caccia – ha impugnato l’ordinanza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il Comune di Bondeno (FE), al fine di contenere il numero dei piccioni presenti sul territorio comunale, ordina la loro cattura ed abbattimento secondo i tempi del calendario venatorio. La ricorrente, argomentando di avere legittimazione sulla base dell’interesse statutario alla integrità del patrimonio faunistico, ha articolato le seguenti censure:
1) violazione art. 50 TUEL, in quanto mancherebbero i requisiti normativamente previsti per l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti ed in particolare la presenza di un fatto eccezionale che non può essere fronteggiato attraverso l’uso degli strumenti tipici disegnati dall’ordinamento;
2) violazione dell’art. 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, atteso che, avendo il “colombo di città” natura selvatica, sarebbe stato necessario acquisire parere ISPRA e motivare circa la inutilizzabilità di metodi ecologici, fermo restando il divieto di abbattimento da parte dei cacciatori;
3) difetto di motivazione;
4) eccesso di potere per irragionevolezza.
Il ricorrente ha concluso invocando l’annullamento dell’atto impugnato.
Non si sono costituiti il Comune di Bondeno, la Coldiretti Bondeno e l’Arcicaccia-Comitato Regionale Emilia Romagna, ancorché regolarmente evocati in giudizio.
Alla pubblica udienza del 9 novembre 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. La vicenda all’esame del Collegio verte sulla legittimità del provvedimento, meglio distinto in epigrafe, con il quale il Sindaco il Comune di Bondeno, al fine di contenere il numero dei piccioni presenti sul territorio comunale, ne ha disposto la cattura e l’abbattimento secondo i tempi stabiliti dal calendario venatorio.
II. Il ricorso è fondato.
III. Occorre premettere che l’ordinanza in esame, pur facendo riferimento, sotto il profilo dei mezzi attuativi utilizzati, allo strumento della caccia, è stata emanata sulla base di esigenze di carattere igienico-sanitario, come risulta sia dal riferimento alle risultanze dell’istruttoria espletata dall’AUSL di Ferrara – Servizio Veterinario – (v. nota prot n. 334 del 22.08.2002 menzionata dall’ordinanza) che dalla dichiarata necessità di prevenire la diffusione di microrganismi patogeni per l’uomo, e riveste quindi in buona sostanza la valenza di ordinanza contingibile ed urgente a tutela della salute; e del resto l’art. 19 della legge 11 febbraio 1992 n. 157 sulla caccia prevede per motivate ragioni (tra cui proprio quelle sanitarie) la possibilità di adottare misure di controllo delle specie nocive che prescindano dalla normale attività di caccia.
Di qui la necessità di verificare, alla luce di quanto articolato al secondo motivo di ricorso, l’applicabilità delle condizioni poste dal parimenti invocato art. 19 proprio per consentire un intervento a scopo sanitario, vale a dire che le misure consistano in metodi ecologici. Lamenta invero parte ricorrente, sulla base della classificazione del colombo di città (cosiddetto torraiolo) nell’ambito degli animali selvatici invece che di quelli domestici, la pretermissione del contributo consultivo costituito dal parere ISPRA, il difetto di motivazione in ordine all’utilizzo di metodi ecologici e quindi meno cruenti, e infine la violazione del divieto di abbattimento dei piccioni da parte dei cacciatori sancito dall’art. 19 su citato.
La fondatezza del motivo di ricorso in esame si deve alla pregiudiziale natura di animale selvatico, invece che domestico, del piccione di città, cosiddetto terraiolo, secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 2598 del 26 gennaio 2004 richiamata in ricorso, alla luce della condizione di vita indipendente dall’uomo nella quale versa l’animale “per quanto attiene alla riproduzione, alla alimentazione e al ricovero”. La Corte conclude quindi nel senso che “la distinzione giuridica tra fauna selvatica e fauna domestica non coincide con la classificazione in uso nella scienza zoologica, che tendenzialmente assegna alla fauna selvatica solo la specie Columbia livia. Al contrario, secondo la nozione positiva adottata dal legislatore, anche il colombo o piccione torraiolo va incluso tra gli animali selvatici, in quanto “vive in stato di libertà naturale nel territorio nazionale”, mentre appartengono alle specie domestiche o addomesticate il piccione viaggiatore e quello allevato per motivi alimentari o sportivi”.
Il Collegio ritiene sul punto di aderire all’orientamento espresso dal Tar Toscana II sezione, con la pronuncia segnalata in ricorso n. 1165/03, che così testualmente si esprime: “In contrario non pare rilevante obiettare che l’art. 19 non sarebbe applicabile ai piccioni inselvatichiti, poiché non essendo questi, sotto il profilo strettamente zoologico, collocati scientificamente tra le specie propriamente selvatiche, non potrebbero perciò beneficiare della tutela di queste. Ed invero non si intende qui (né rientra nei poteri cognitivi di questo Tribunale) entrare in problematiche di classificazione zoologica; cionondimeno la sussistenza della “categoria” in parola, rappresentando un fatto incontestato e non essendo parimenti prevista dalla legge, nonchè in assenza delle necessarie specificazioni di competenza provinciale, non può che trovare la propria disciplina di contenimento in quella disposizione di tutela che sul piano analogico, più le si avvicina. D’altra parte la stessa giurisprudenza in materia di protezione della fauna selvatica ha già formulato il principio generale che questa non deve intendersi limitata alle specie propriamente selvatiche ma estesa più in generale anche agli animali anche di tipo selvatico (cfr Cass, sez.III, 18.2.1994 e sez IV, 26.9.1997). Pertanto il Collegio ritiene di dover applicare alla fauna di cui si tratta costituita dai “piccioni inselvatichiti” (vale a dire che di fatto hanno assunto un sistema di vita quanto meno simile a quello selvatico) il regime di contenimento proprio delle specie selvatiche, che pertanto ai sensi di legge non possono essere contenute se non con metodi ecologici, quale non può definirsi il ricorso alla caccia peraltro operato al di fuori dei suoi ordinari limiti normativi”.
Da tanto consegue che, ai sensi dell’invocato art. 19 della l.n. 157/92, i controlli su tale fauna andavano effettuati attraverso l’utilizzo di metodi ecologici previo parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna, ora denominato ISPRA. Invero, l’art. 19, comma 2, prevede che “Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento”.
In presenza di tali indicazioni normative non appare compatibile col rispetto dell’ambiente, nel quale certamente si colloca anche il concetto di controllo demografico, la scelta comunale di un mezzo di contenimento quale la caccia individuato come alternativa agli specifici strumenti previsti dalla legge. Né sul piano logico appare sostenibile che un attività venatoria avulsa dal suo normale ambito giuridico possa integrare quel metodo di controllo ecologico indicato dalla legge e non piuttosto finire per rappresentare unicamente il contrapposto e rapido sistema di eliminazione cruenta (per tale principio v. TAR Toscana, III, n. 48/1999 e n. 2343/00).
Va peraltro osservato che nell’ordinanza impugnata non si fa alcun riferimento, nemmeno in astratto, alla possibilità di adottare metodi ecologici che non richiedano il ricorso all’abbattimento della fauna interessata dall’intervento.
Conclusivamente per tali ragioni il ricorso deve essere accolto, restando assorbiti gli altri motivi di censura. Degli atti impugnati occorre disporne pertanto l’annullamento.
IV. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e pertanto sono da porre a carico del Comune di Bondeno nell’importo di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Emilia Romagna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1336/2010, come in epigrafe proposto da Lac-Lega Per L’Abolizione della Caccia e Animal Liberation, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune di Bondeno, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore delle ricorrenti, che liquida complessivamente nell’importo di € 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 29/11/2011
16 gennaio 2012