Il premier difende i blitz anti evasione: “Chi non paga le tasse mette le mani nelle nostre tasche”. Contestato a Reggio Emilia da Lega, Rifondazione e Destra
Verde, bianco e rosso. La festa del Tricolore nella città dove è nato 215 anni fa, ma anche il technicolor della prima uscita «politica» italiana di Mario Monti.
Il premier Monti contestato a Reggio Emilia. A contestarlo, nei tre cantoni strategici della città, a ridosso del teatro Valli e della piazza Prampolini, i leghisti, i nostalgici di Rifondazione comunista, gli altri nostalgici de La Destra e, tenuti a parecchia debita distanza, un mix sbiadito di indignados e tesserati dei centri sociali. L’intenzione è quella di prendersela tutti con il governo dei tecnici, ma in pratica e negli slogan, accade che gli uni finiscono per insultare gli altri: il Pd contro la «svenduta» Lega, gli irriducibili comunisti contro lo «svenduto» Pd.
Incantesimi di Monti-robot, per dirla alla Crozza, che evidentemente riesce ad ipnotizzare comunque tutti, nella bella giornata di gennaio, in una Reggio agghindata quanto blindata.
E così il transennato premier, accompagnato dalla signora Elsa, può sorridere nel Teatro Valli al parterre royale di autorità civili e militari, tra le quali Romano Prodi, e, sempre controllatissimo, può ascoltare, in un breve incontro che precede la sua prolusione, l’amaro sfogo del Bersani semi-adirato di cui riferiremo tra qualche riga. Perché adesso occorre dar conto del pensiero del premier che, nel suo intervento, ha toccato i temi più urgenti e delicati dell’Italia e dell’Europa che verranno. «Alcuni italiani mettono le mani nelle tasche di altri italiani: sono gli evasori – ha tuonato Monti – e chi estorcendo privilegi o rendite, spesso a seguito di provvedimenti pubblici del governo centrale o di quelli locali, ha introdotto e mantiene inciampi al gioco della concorrenza e del mercato creando rendite di posizione.
È inammissibile che i lavoratori subiscano sacrifici mentre una parte importante di ricchezza fugge alla tassazione, accrescendo così la pressione tributaria su chi non può sottrarsi al fisco». Quindi, quasi a rispondere ai vari refrain dei liberi contestatori, il premier tenta addirittura un esercizio di ironia o di autoironia su quest’argomento tutt’altro che divertente: «L’espressione corrente di mettere le mani nelle tasche degli italiani non mi ha mai persuaso e comunque è incompleta perché ci sono altre mani che entrano nelle tasche quindi, se c’è un filo conduttore tra la fase 1 la fase 2 del governo è l’invito a tutti a tenere le mani a posto».
Poi ancora un accenno ai piani in cantiere nell’esecutivo: «Il governo darà vita ad una scossa ed una accelerazione potente alla lotta contro la corruzione che frena gli investimenti esteri in Italia più di quanto si possa pensare. Dobbiamo operare con urgenza per sbloccare il Paese e far saltare i colli di bottiglia». «Ma è anche necessario – ha puntualizzato Monti – evitare una pressione fiscale eccessiva che scoraggi gli sforzi produttivi e che gli accertamenti siano rispettosi dei diritti individuali. Su questo vigilo e vigilerò. In questo senso agli uomini e alle donne della Guardia di Finanza e della Agenzia delle entrate voglio assicurare il mio appoggio».
E veniamo allo sfogo di Bersani nel breve vis a vis con Monti. Il leader Pd ha sintetizzato ai giornalisti le sue aspettative: «Adesso bisogna che questi vertici producano dei risultati visibili altrimenti andiamo nei guai seriamente». Insistendo sulla necessità che, al termine dei vertici che Monti sta tenendo e terrà nei prossimi giorni, si possano vedere dei risultati, Bersani ha sottolineato come, a suo parere, sia necessario «dare più possibilità di intervento alla Bce, fare qualcosa di serio e di credibile sul fondo salva-Stati, applicare una tassa sulle transazioni finanziarie e dare vita ad un coordinamento delle politiche macroeconomiche. Qualcosa di tutto questo deve venir fuori rapidamente», ha detto con faccia rabbuiata.
«Monti si è mosso bene – ha osservato il segretario piddino – ha fatto in Italia uno sforzo notevole e l’ha fatto fare agli italiani. È andato in Europa con una voce chiara ma adesso ci vogliono soluzioni perché si è creato un meccanismo ideologico. Dobbiamo dire all’Europa con chiarezza che noi di manovre non ne facciamo più e non pensino di trattarci come la Grecia. Noi non mandiamo a fondo l’Europa ma non vorrei che l’Europa della Merkel e di Sarkozy ci mandasse a fondo tutti».
Fuori rullano i tamburi dei soldati in costume della parata storica col tricolore. I leghisti intonano il Va pensiero. Che segna anche il rompete le righe. È l’una e trenta: tutti in fuga per la vittoria. Anzi per la piazza Vittoria delle trattorie. Della serie: più dello spread, alla fine, può sempre il tortellino.
Il Giornale – 8 gennaio 2012