La sfida è come mantenere attivo un lavoratore over 60enne. Garantendogli uno stipendio adeguato. Ma senza farlo gravare troppo (come accade ora) sulle casse delle imprese.
E senza anche, nei casi di crisi aziendale, tenerlo “sospeso” (per anni) attraverso cassa integrazione e mobilità lunga (che costano molto all’Erario e non danno la certezza di risolvere la crisi dell’impresa, e quindi tutelare l’occupazione).
L’idea, allo studio del ministero del Welfare, di una maggiore gradualità “in uscita”, favorendo rapporti di lavoro “part-time” a fine carriera, con un anticipo di quota parte della pensione (si veda «Sole 24 Ore» di ieri) piace a Carlo Dell’Aringa, economista del lavoro all’università Cattolica di Milano: «Si tratta di un’idea condivisibile, specie ora che il nostro sistema pensionistico è passato interamente al contributivo». Il punto, ha aggiunto Dell’Aringa, è che bisognerà prevedere pure (in affiancamento a questa misura) «uno sgravio a favore delle imprese che assumono persone oltre i 50-55 anni in esubero o disoccupati sulla falsariga di quanto avviene in Germania. Questo per non creare distorsioni nel sistema e frenare la voglia delle aziende di liberarsi della manodopera più anziana che è in genere la più costosa».
Ma la proposta, dopo aver flessibilizzato il pensionamento di vecchiaia con la manovra «Salva Italia», di voler prevedere ora un “mix” tra part-time e pensione per i lavoratori anziani raccoglie consensi anche tra le forze politiche e le parti sociali. Queste ultime, però, con qualche “puntualizzazione”.
Per Stefano Saglia (Pdl), ex sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico, «non abbiamo pregiudizi sulla possibilità di rendere più graduale l’uscita dal lavoro. Ma perchè sia fattibile servirà pensare a un incentivo economico che si leghi a questo strumento».
«È un’idea che avevo già proposto quando ero ministero del Lavoro», ha ricordato Cesare Damiano (Pd). Il riferimento è al «contratto di avvicendamento professionale» previsto dalla Finanziaria 2007 (rimasto fino a oggi sulla carta perchè non sono mai arrivati i provvedimenti attuativi): «E ora avrebbe più senso rilanciare – ha detto Damiano – magari prevedendo che accanto alla scelta autonoma del lavoratore a fine carriera di utilizzare il part-time, venga garantita l’assunzione, sempre in part-time, di un giovane, da formare così direttamente sul luogo di lavoro».
Per Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl, l’anticipo di una parte della pensione andando in part-time è «un’idea buona e praticabile. Soprattutto a favore degli occupati nei mestieri più impegnativi che con le nuove regole pensionistiche vedono allungarsi la fase di uscita dal lavoro». Il punto è che bisogna «capire bene la durata degli anni di lavoro in part-time e se questa opzione rischi di abbassare il montante contributivo, che oggi più che mai gioca un ruolo fondamentale sull’entità della rendita pensionistica», ha commentato Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil. In Italia «c’è un problema di invecchiamento attivo. Inutile nasconderlo», ha sottolineato Claudio Treves, responsabile lavoro della Cgil. E l’idea di proporre un mix tra pensione e part-time «può essere una risposta. A patto però che non si tramuti in una nuova penalizzazione per i lavoratori a fine carriera».
Ilsole24ore.com – 4 gennaio 2012