Il segretario Cgil: «Basta regolarizzare gli immigrati per avere 5 miliardi, e un piano di difesa del territorio creerebbe molti posti per i giovani». “I soldi per aiutare il lavoro? Se non ci sono si possono trovare”
«Serve un piano per il lavoro» dice Susanna Camusso. Perché la situazione è grave e di qui in avanti non può che peggiorare. Non occorre ridurre le tutele, nè aumentare il debito pubblico, di certo però sulla trattativa col governo non può pendere ancora la spada di Damocle dell’Europa. «La fretta produce sempre cattivi accordi».
Segretario, cosa vi fa dire che la crisi è così grave?
«I numeri delle ore di cassintegrazione e delle aziende in crisi confermano brutalmente che per il terzo anno di fila la cassa integrazione è a livelli record: 1 miliardo di ore e quasi 10mila fabbriche interessate. A questo bisogna poi aggiungere il numero di vertenze di grandi gruppi che si stanno aprendo e che producono sempre un trascinamento su fornitori e piccole imprese. L’altro fattore che preoccupa è il continuo calo dei consumi: il dato del 2011 rischia di rafforzarsi e porta con se la chiusura di una infinità di piccoli esercizi commerciali».
Siamo nel tunnel della recessione.
«Si. E credo che andrebbe fatto qualche ragionamento sul fatto che se piccole e medie imprese ormai da tre anni sono con la cassintegrazione in deroga probabilmente si tratta di aziende che non hanno più uno spazio di attività: la riduzione della produzione, che tutti i dati dall’autunno in poi hanno iniziato a dare, sta diventando insomma strutturale».
Il governo questa situazione ce l’ha presente?
«Bisogna farglielo capire, ma spero proprio che questa situazione ce l’abbia presente. Anche gli ultimi dati di Confindustria, del resto, non danno una fotografia molto diversa. E’ evidente però che una cosa il governo ha gravemente sottovalutato, ed è un problema che resta aperto: nel cambiare così bruscamente, ed erroneamente, le norme pensionistiche non ha infatti tenuto conto dei contraccolpi sul mercato del lavoro. C’è un mondo, che non è fatto – come dice il presidente del Consiglio – dei lavoratori in mobilità, ma che è fatto di migliaia di lavoratori che stavano in un piccolo esercizio, in una piccola attività, che hanno deciso di licenziarsi perché avevano abbastanza vicino il traguardo di una pensione che ora non arriva invece più. Ed ora non solo sono disoccupati, ma avendo 58-59 anni nessuno offre più loro un posto. In un mercato del lavoro così debole è stato un grosso errore prolungare di 5-6 anni l’età della pensione».
Nella telefonata con Monti vi siete limitati agli auguri oppure avete già fissato dei temi o delle date per incontravi?
«No, non abbiamo accennato a date: ci vedremo nei prossimi giorni. Io l’ho presa come una conferma dell’impegno del governo ad aprire il confronto».
Confronto che secondo il premier dovrà avvenire con tempi rapidi, perché il 23 vuole andare a Bruxelles con qualche novità anche sul lavoro.
«Credo che continuare a farci dettare i tempi da Bruxelles sia un altro errore, fatta la manovra non doveva arrivare il momento del confronto con l’Europa come ci hanno detto nei loro messaggi di fine anno sia Napolitano che Monti? Nelle trattative si può fissare la data di inizio, non quella di chiusura, e l’esperienza della manovra di dicembre ci dice che occorre fare le cose per bene, non con urgenza. Perché non stiamo facendo teoria ma stiamo discutendo delle condizioni materiali delle persone in difficoltà, perché non hanno il lavoro, o lo stanno perdendo o non sanno con quali regole vi entreranno».
A parte le diatribe sull’articolo 18, è pensabile avviare un discorso a tutto campo sulla materia lavoro, senza pregiudizi o veti?
«Il Paese è messo molto male, la preoccupazione è alta, il tema dell’occupazione è un grande dramma per la maggior parte degli italiani che non hanno nessun bisogno di sentirsi raccontare delle favole come quella che bisogna intervenire sull’articolo 18. Bisogna discutere dei problemi che abbiamo non di quelli che non abbiamo».
Quindi?
«Bisogna ragionare sugli ammortizzatori per trovare una soluzione che copra davvero tutti. E poi occorre dare risposte ai giovani e avviare un piano per l’occupazione, perché dire investimenti ed infrastrutture non basta».
Ma per fare questo servono risorse. E Monti non ne ha.
«Si, se però pensano di prenderli ancora ai lavoratori non iniziamo nemmeno a discutere. Ci sono tante cose che si possono fare e tante risorse da reperire senza aumentare per forza il debito pubblico. Se si discute di mercato del lavoro bisogna parlare anche di legalità e di sommerso: basterebbe regolarizzare tutti gli immigrati per avere 5 miliardi. Un piano per la difesa del territorio convogliando su un progetto nazionale tutte le risorse che oggi vengono disperse in mille rivoli consentirebbe di crare molti posti di lavoro, stabili, per tanti giovani».
Se al dunque vi fosse proposto uno scambio?
«Nelle trattative ci sono sempre degli scambi quantitativi. Però se mi si propone di aumentare l’indennità di disoccupazione in cambio della rinuncia alla norma antidiscriminatoria sui licenziamenti dico di no. Non è scambiabile, anche perchè nessuno finora ha dimostrato che riducendo i diritti aumentano i posti».
Lastampa.it – 3 gennaio 2012