Dall’indagine Demos 2014 emerge una nazione spaesata sfiancata da crisi, fisco e corruzione. Il quadro già negativo del 2013 peggiora ancora. Anche la magistratura in calo. Di Ilvo Diamanti. Un paese spaesato. Senza riferimenti. Frustrato dai problemi economici, dall’inefficienza e dalla corruzione politica. Affaticato. E senza troppe illusioni nel futuro. È l’Italia disegnata dalla XVII indagine su “Gli Italiani e lo Stato”, condotta da Demos (per Repubblica). Pare una replica del Rapporto 2013. Se possibile: peggiorata. Tuttavia, c’è una novità: il senso di solitudine. Perché oggi, molto più che nel passato, anche recente, i cittadini si sentono “soli”. Di fronte allo Stato, alle istituzioni, alla politica. Ma anche nel lavoro. E nella stessa comunità.
1. Soli di fronte allo Stato. Valutato con fiducia dal 15% dei cittadini. Metà, rispetto al 2010, 4 punti meno di un anno fa.
Un livello basso, ma non molto diverso, ormai, rispetto agli altri governi territoriali. Perché meno del 20% dei cittadini si fida delle Regioni e meno del 30% dei Comuni. Insomma siamo un Paese senza Stato, secondo le tradizioni. Ma abbiamo perduto anche il territorio. Mentre l’Europa appare sempre più lontana, visto che poco più di un italiano su quattro crede nella UE.
2. D’altra parte, gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica. E, in primo luogo, dai partiti. Ormai non li stima davvero nessuno. Per la precisione, il 3%. Cioè, una quota pari al margine d’errore statistico. Poco meno del Parlamento, comunque (7%). Una conferma del clima di sfiducia che mette apertamente in discussione la “democrazia rappresentativa”. Interpretata, in primo luogo, proprio dai partiti, insieme al Parlamento.
3. Al di là dell’ampiezza, colpisce la “velocità” con cui sta crescendo la sfiducia verso i soggetti politici e le istituzioni di rappresentanza democratica. Rispetto al 2010, infatti, la credibilità dello Stato, dei partiti e del Parlamento è dimezzata. Mentre la fiducia nei Comuni e nelle Regioni è calata di oltre 10 punti percentuali. La perdita di riferimenti territoriali ha investito anche l’Unione Europea. Vista con favore dal 27% degli italiani: 22 punti meno del 2010. E 5 punti meno dell’an- no scorso.
4. La stessa figura del Presidente della Repubblica appare coinvolta da questo clima di spaesamento. Giorgio Napolitano, “costretto” a subentrare a se stesso, per non creare pericolosi vuoti di potere, ha pagato le tensioni politiche e istituzionali. Anche per questo la fiducia nel Presidente, è scesa dal 71 al 44%, dal 2010 ad oggi. E di 5 punti rispetto all’anno scorso. D’altronde, tutti i livelli e i soggetti di “governo” hanno perduto consenso in misura significativa rispetto allo scorso anno: partiti, Parlamento, Comuni, Regioni. Lo Stato.
5. E ciò suggerisce, come si è già detto, che sia in discussione la credibilità stessa della democrazia rappresentativa. Sfidata apertamente da alcuni soggetti politici, come il M5s, che le oppongono la democrazia “diretta”. Solo il 46% degli italiani ritiene, peraltro, che “senza partiti non ci possa essere democrazia”. Mentre il 50% pensa il contrario (nel 2010 era il 42%). Certo, i due terzi dei cittadini credono che la democrazia sia ancora la peggior forma di governo, ad esclusione di tutte le altre (come sosteneva Churchill). Ma la scommessa democratica, nel 2008, era sostenuta da una quota di cittadini molto più ampia: il 72%.
6. Insomma, fra gli italiani si è diffusa una certa “stanchezza democratica”. Anche perché la nostra democrazia, il nostro Stato, si dimostrano sempre più inefficienti. Non per caso, è cresciuta l’insoddisfazione verso i servizi pubblici. E l’insofferenza verso il sistema fiscale appare, ormai, senza limiti. Come il ri-sentimento verso la corruzione politica. Vizi nazionali, di “lunga durata”, che circa 7 italiani su 10 considerano ulteriormente in crescita. 7. Tuttavia, la sfiducia nel governo centrale e locale, la degenerazione della politica e dell’azione dei partiti, manifestata dagli scandali per corruzione non hanno rafforzato la credibilità della Magistratura. Che, fra i cittadini, ha subìto un pesante calo di fiducia. Dal 50%, nel 2010, al 33% oggi. Quasi 17 punti in meno, in quattro anni. E 7 nell’ultimo.
8. Così si spiega lo sguardo scettico verso l’immediato futuro. Per la maggioranza (relativa: 40%) degli italiani, infatti, l’anno che verrà non sarà né migliore né peggiore dell’anno appena finito. Semplicemente: uguale. Cioè, senza istituzioni, senza governo. Senza sicurezza, visto che perfino la fiducia nelle Forze dell’ordine – apprezzate, comunque, da due italiani su tre – è scesa di 7 punti, rispetto al 2010, 3 dei quali perduti nell’ultimo anno.
D’altronde, anche gli indici di partecipazione politica e sociale sono in declino. Mentre la fiducia nelle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori e, ancor più, dei sindacati, è calata sensibilmente. E quasi 6 persone su 10 diffidano degli “altri”, in generale.
9. In pochi anni, dunque, abbiamo perduto i principali riferimenti della vita pubblica e sociale. E abbiamo impoverito quel capitale di partecipazione e di fiducia necessario alla società, alle istituzioni e alla stessa economia per funzionare, non solo per svilupparsi. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, c’è una sola figura che oggi disponga di grande credito. Papa Francesco. Lo apprezzano 9 italiani su 10. Quasi tutti, insomma. Tuttavia, il Papa è un’autorità “religiosa”, a capo di un “altro” Stato. La sua grandissima popolarità (che, peraltro, è “personalizzata” e non si estende alla Chiesa) potrebbe suggerire che, ormai, non c’è speranza. E non ci resta che affidarci alla provvidenza divina… 10. Al di là delle battute, l’indagine di Demos sottolinea un rischio concreto. L’assuefazione alla sfiducia. Nelle istituzioni, negli altri, nel futuro. E, anzitutto, in noi stessi. Spinti, per inerzia, a “dare per scontato” che le cose non possano cambiare. Senza interventi “dall’alto”. Così, “l’incertezza” rischia di apparire una condanna. Mentre è il “segno” del nostro tempo. “Incerto”, ma non “segnato”, pre-destinato. L’incertezza: significa che nulla è (ancora) scritto. Che l’anno che verrà non è ancora (av)venuto. Dipende anche da noi “segnarne” il percorso.
Repubblica – 29 dicembre 2014