Il regolamento europeo “Food Information to Consumers”, FIC, rubricato al numero 1169/2011, è in applicazione dal 14 dicembre scorso nell’intero Mercato interno. Un identico testo in 28 Paesi, tradotto nelle 24 lingue ufficiali, dovrebbe garantire l’uniformità delle regole a presidio dell’informazione del consumatore in relazione agli alimenti. Ma ciò non basta a risolvere gli enigmi interpretativi che fioriscono in ogni dove, a partire dall’Italia. Anzitutto, su tempi e modi di effettiva applicazione. Proviamo a capire perché.
Le nuove regole europee, vale la pena ricordare, non sono piovute dall’alto all’improvviso. Le rappresentanze politiche dei cittadini (Parlamento europeo) e dei governi nazionali (Consiglio) hanno avuto tempo di lavorarci sopra già al principio del 2008. Hanno discusso, elaborato tesi, realizzato compromessi. E il testo finale, appunto, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale poco più di tre anni or sono. Senza tuttavia riuscire a dipanare un’ampia serie di dubbi interpretativi che tuttora attanagliano gli operatori e le autorità di controllo.
In Italia frattanto, la disciplina dell’informazione commerciale sui prodotti alimentari è stata oggetto di ripetute riforme, attorno al cosiddetto “decreto etichettatura” (d.lgs. 109/92). Nel corso degli anni il Parlamento italiano ha conferito più deleghe, ai governi che si sono succeduti, per la riforma organica della materia. In vista dell’elaborazione di un testo unico, un codice alimentare, per il riordino complessivo delle norme accumulatesi nei decenni. Ma nulla è stato fatto, fino a oggi, soprattutto a causa dell’incolmabile dissidio tra i diversi dicasteri interessati (agricoltura, salute, sviluppo economico).
Ci si chiede perciò oggi, quali sanzioni sono applicabili in Italia per il mancato rispetto delle prescrizioni in tema di informazione al consumatore relativa agli alimenti? Le nuove regole europee, si è detto, sono già in auge. Eppure, in virtù del principio di stretta legalità cristallizzato nella Costituzione della Repubblica italiana – ripreso sia dal codice penale, sia dalla legge 689/1981 recante disciplina delle sanzioni amministrative – nessuno può venire punito se non in forza di una legge preesistente che espressamente preveda una sanzione in relazione alla violazione di un precetto, o di un divieto, ivi stabilito. E allora?
La gran parte delle previsioni di cui al decreto legislativo 109/92 è stata superata dal regolamento UE 1169 /11, il quale prevale sia nella gerarchia delle fonti di diritto (poiché i regolamenti europei, secondo la Consulta italiana, hanno un rango superiore addirittura alle leggi costituzionali), sia in ragione della successione temporale (in quanto normativa più recente).
Ne consegue che a tutt’oggi – in attesa dell’entrata in vigore del fatidico “decreto sanzioni” da lungo tempo atteso – le autorità di controllo sono sprovviste di strumenti sanzionatori. Al di fuori delle sole penalità applicabili alla violazione dei doveri di cui agli articoli 13 (indicazione del codice di lotto) e 16 (informazioni sui prodotti sfusi e preincartati) del d.lgs. 109/92, ai sensi del suo successivo articolo 18. Sono queste, infatti, le uniche norme che formalmente sopravvivono alla riforma europea.
L’antico motto “fatta la legge, scovato l’inganno” si declina perciò in una nuova versione, “fatta la legge senza pena, ignorata la legge”.
Dario Dongo – Il Fatto alimentare – 20 dicembre 2014