Uno su quattro rinuncia a farsi curare i denti per motivi economici. Un Paese sempre più anziano, dove si spende sempre di più per garantire una sanità (nonostante la spending review), e dove conviene pagare di tasta propria i farmaci invece di chiedere la ricetta al medico di base e poi andare in farmacia. In sostanza: «Costa meno comprare da soli i farmaci che pagare i ticket».
La radiografia del nostro Paese, vista con la lente della spesa sanitaria e farmaceutica, è preoccupante. Spendiamo sempre di più (per assistenza e farmaci), ma salvo la gestione delle emergenze («da 10 e lode»), siamo messi maluccio.
Complessivamente (ultimi dati aggregati 2012) la spesa sanitaria totale è stata di circa 113 miliardi di euro. Con una crescita consistente se paragonata al 2002. Negli ultimi 11 anni, infatti, per curarci, abbiamo sborsato (tra spesa pubblica e ticket), 34 miliardi in più (+ 43% della spesa sanitaria nazionale).
Lo studio comparato realizzato da Federanziani («Compendio SIC-Sanità in Cifre 2013», presentato ieri), prova anche che è lievitata (del 34% dal 2003) la spesa procapite. Nel 2012 lo Stato ha speso per ogni cittadino1.903 euro (aumento del 4,5% negli ultimi quattro anni e di circa il 34% dal 2003).
Ma a balzare all’occhio è il paradosso farmaceutico: con l’aumento costante della compartecipazione (i ticket sanitari per prestazioni o farmaci), ormai, sintetizza la ricerca, «costa meno comprare da soli i farmaci che pagare i ticket».
«Nel 2013», spiega la ricerca Federanziani, «la spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 26,1 miliardi di euro, di cui il 75,4% rimborsata dal Ssn. In media per ogni cittadino la spesa per farmaci è stata di circa 436 euro». Però sfogliando bene si scopre che la quota pubblica è diminuita «del 9,37% a fronte di un aumento dello 0,95% di quella imputabile ai cittadini. Tra il 2011 e il 2012 tale aumento ha comportato un maggiore esborso per i cittadini pari a 246 milioni di euro. La compartecipazione passa da 21,88 euro del 2011 a 24,1 euro pro capite nel 2013, con un aumento percentuale del 10,1%».
Le Regioni, in bolletta per il taglio dei trasferimenti o con pesanti piani di rientro dalla spesa incontrollata, hanno imposto negli ultimi anni pesanti ticket che hanno reso spesso più conveniente – insieme all’introduzione/obbligo del farmaco di base – evitare la ricetta rossa e acquistare direttamente il farmaco senza ricetta (e quindi senza sborsare il ticket).
Ma non c’è solo la spesa farmaceutica bizzarra a balzare all’occhio. La grande campagna per limitare l’ospedalizzazione non sembra aver prodotto il risultati (risparmi) attesi. Scrive la Federazione: «Nulla è valsa la riduzione dell’attività ospedaliera, caratterizzata nel 2012 da una netta diminuzione del volume di ricoveri e di giornate di degenza erogate rispetto al 2010: circa 1 milione di ricoveri e 5,2 milioni di giornate di degenza in meno». L’unico risultato conseguito è di aver ridotto i posti letto disponibili (ingolfando le liste d’attesa). «Se nel 2011 i posti letto effettivi ammontano a 4 ogni 1.000 abitanti, 3,4 dei quali dedicati all’attività per acuti in regime ordinario, la spending review ha ridotto ulteriormente di 7.400 il numero di posti letto a partire dal 1 gennaio 2012. Ma anche se calano le attività per acuti la spesa sanitaria rimane sensibilmente in aumento».
Balza all’occhio un dato significativo: «Nel 28,65% dei casi gli intervistati sono stati costretti a rinunciare a recarsi da un dentista per ragioni economiche».
Nella più classica delle tradizioni italiane salta fuori che siamo bravissimi («da 10 e lode») a gestire le emergenze, ma poi facciamo ben poco nel quotidiano. «A livello emergenza», spiega Roberto Messina, presidente di Federanziani, il nostro sistema sanitario «è tra i migliori al mondo ma per quanto riguarda l’assistenza sul territorio il voto è estremamente insufficiente, ancora inadeguato in quanto l’assistenza non esiste». E per quanto riguarda i ticket «è scorretto da parte delle Regioni avere ticket che costano più dei farmaci. A questo punto è meglio spostarli in fascia C». Già, perché non spostarli?
Libero – 17 novembre 2014