“Chiediamo di rivedere gli aumenti previsti per il Fondo Sanitario Nazionale e di rinegoziare i debiti delle Regioni, spalmandoli in più anni. “Aspettiamo risposte Governo entro il 10 dicembre”. E sulla riforma costituzionale spiega: “Penso ad alcuni adattamenti istituzionali sul profilo dimensionale delle Regioni rispetto a specifiche materie che obblighino Regioni diverse a lavorare assieme, sulla base di vere e proprie convenzioni. Sanità compresa”.
Il giorno dopo l’approvazione alla Camera della Legge di Stabilità, Chiamparino illustra le proposte delle Regioni da inserire nel passaggio al Senato e fissa al 10 dicembre la deadline per sciogliere tutti i nodi e per trovare una sintesi con il governo. Operazione che non si prospetta semplice, dopo le polemiche a distanza con il premier Renzi. Ma la partita della Sanità non si esaurisce certamente nella Stabilità. Revisione del sistema dei ticket, sostenibilità e universalismo del SSN, riforma del Senato, revisione del Titolo V e federalismo, sino alla riorganizzazione dell’assetto sanitario in Piemonte: tutti temi caldi e articolati che abbiamo affrontato a 360 gradi in quest’intervista esclusiva con il presidente della Conferenza delle Regioni e governatore piemontese.
Lo scorso 16 ottobre aveva definito “insostenibile” la Legge di Stabilità a meno di non incidere sulla spesa sanitaria. Oltre un mese dopo, come procede la dialettica con il governo? A che punto è il cosiddetto ‘Lodo Chiamparino’? Qual è l’orientamento contenuto nelle proposte che le Regioni stanno elaborando?
Le nostre proposte si basano su due assi fondamentali: da un parte rivedere insieme al governo gli aumenti previsti per il Fondo Sanitario Nazionale e promuovere il cosiddetto Patto Integrale Verticale, un accordo che lascia più margini ai Comuni per alzare il tetto ai limiti del Patto di Stabilità; dall’altra parte verificare la possibilità di rinegoziare i debiti delle Regioni, spalmandoli in più anni. A questo punto però dobbiamo attendere il passaggio al Senato, perché, come ci ha spiegato il sottosegretario Baretta, il Governo ha scelto di recepire le indicazioni dei Comuni alla Camera e quelle delle Regioni, appunto, al Senato. In base al percorso che abbiamo indicato ci sarà un incontro questa settimana in Conferenza Unificata, per poi portare il nostro parere entro il 10 dicembre, che è la deadline da noi indicata. Baretta si è detto disponibile in questo senso.
Lo scorso 30 novembre, secondo quanto stabilito dal Patto per la Salute, doveva essere pronta la proposta governo-regioni per la riforma del sistema dei ticket. A che punto siete? E quali sono le idee guida?
Su questo tema ogni Regione sta lavorando per cercare di trovare la soluzione più efficace tenendo conto delle indicazioni del Patto per la Salute: l’obiettivo comune è quello di rendere sostenibile l’assistenza sanitaria universalistica cercando di non pesare sulle fasce più deboli. Al momento non mi risultano elaborazioni più concrete che mi consentano di essere più preciso. Mi preoccupa invece una contraddizione contenuta nella Legge di Stabilità approvata alla Camera, tra la tabella che indica 112 mld al Fsn per il 2015 e il testo che indica la Sanità come vettore per recuperare la riduzione del gettito prevista per le Regioni a statuto ordinario. Al Senato bisognerà prima di tutto chiarire questo punto.
Pensa che in ogni caso l’Italia possa continuare a permettersi un sistema sanitario nazionale universalistico o ritiene, come in molti sostengono, che esso “sia un lusso che non possiamo più permetterci”?
Innanzitutto voglio rimarcare che il nostro Sistema Sanitario, secondo numerose e attendibili valutazioni, si colloca ai primissimi posti a livello mondiale. Nel complesso ritengo che il sistema universalistico possa reggere a tutti gli effetti, soprattutto grazie al Patto per la Salute che costituisce una solida garanzia in questo senso. Il SSN a carattere universalistico continuerà quindi a essere pienamente sostenibile ed efficace. La grande sfida che ci attende è quella di riuscire a valorizzarlo e migliorarlo ulteriormente.
Dopo il vistoso calo di affluenza alle ultime elezioni in Emilia Romagna e in Calabria in molti hanno rilevato che esso sia un segnale indiscutibile di una forte disillusione rispetto al regionalismo. Che ne pensa? Ritiene ancora valida la spinta e la visione federalista dell’attuale titolo V?
Le Regioni hanno compiuto un percorso un po’ contraddittorio che da una parte le ha viste raggiungere gli obiettivi originari che avevano ispirato la loro istituzione e dall’altra le ha progressivamente trasformate in enti di gestione invece che di programmazione e di legislazione. Bisogna anche tenere conto che l’opinione pubblica fatica a individuare quale sia l’impatto dell’azione politica delle Regioni, mentre sono molto più chiare le ripercussioni che hanno le decisioni a livello comunale o nazionale. Salvo eventi eccezionali, come il caso del terremoto in Emilia Romagna del 2012, le Regioni sono sempre rimaste un po’ distanti dalla percezione comune. Bisogna quindi cogliere l’occasione fornita dalla revisione del Titolo V per costruire quello che definirei un nuovo riformismo regionalistico. Per anni abbiamo infatti discusso di federalismo e autonomismo, producendo sostanzialmente nulla. Paradossalmente quanto più si è diffusa un’ideologia federalistica, tanto più si è affermata una pratica centralistica.
Cosa pensa della riforma costituzionale attualmente in discussione in Parlamento, anche per quanto riguarda il previsto ripensamento sulle competenze tra Stato e Regioni in materia sanitaria?
La riforma del bicameralismo attualmente in discussione ha un’importanza enorme perché rappresenta la condizione essenziale per poter garantire un autonomismo serio e non fondato soltanto su luoghi concertativi settoriali come sono le attuali Conferenze. Il Senato delle autonomie dovrà invece rappresentare la sede in cui verranno elaborate alla luce del sole le politiche che riguardano concretamente i territori. Dovrà anche diventare uno strumento che consenta di gestire con flessibilità le competenze all’interno di uno Stato che sappia mantenersi allo stesso tempo autonomistico e unitario. Tutta l’esperienza internazionale degli stati federalisti ci insegna infatti che mantenere una rigida divisione è quasi impossibile perché quasi tutte le materie, inclusa la Sanità, tendono a essere concorrenti e non separate rigidamente. Spetterà quindi al nuovo Senato fare in modo che l’oggettiva concorrenza tra materie diventi uno stimolo positivo e non un ostacolo al funzionamento complessivo del sistema. Una volta consolidato il cambiamento della seconda Camera, bisognerà discutere alcuni adattamenti istituzionali per quanto concerne il profilo dimensionale delle Regioni. Questo non significa che sia necessario chiuderne qualcuna, piuttosto sarebbe utile introdurre nuove metodologie che, rispetto a specifiche materie, obblighino Regioni diverse a lavorare assieme, sulla base di vere e proprie convenzioni. Per quanto riguarda la Sanità un principio simile potrebbe essere applicato, per esempio, al Molise che presenta numeri bassi per poter reggere da solo specialità sanitarie complesse che richiederebbero invece un bacino di utenza ben più ampio. In questo caso costruire relazioni con le Regioni e quindi con le strutture limitrofe sarebbe fondamentale.
La riforma sanitaria che ha varato con l’assessore Saitta in Piemonte ha già scatenato un vespaio di polemiche. Quali sono i principali obiettivi del vostro intervento e dove si aspetta i primi effetti tangibili? Le strutture complesse diminuiscono, mentre posti letto e personale restano inalterati: quali ragioni alla base di questa scelta?
Innanzitutto confidiamo che la riforma ci consenta di uscire dal Piano di rientro o almeno di ottenere maggiore flessibilità per quanto riguarda le assunzioni. Il nostro problema principale non è infatti quello di ridurre il personale nel suo complesso, ma snellire gli amministrativi. In Sanità il nostro obiettivo è quello di tornare ad assumere medici e infermieri per rinnovare gli organici dopo una stagione di tagli lineari. Sbloccare il turn over è l’unica strada per rendere più funzionale il sistema piemontese: non a caso, tra 2010 e 2014, si è registrata un’esplosione della mobilità passiva sino a toccare il picco di 50 milioni. Senza dimenticare che abbiamo verificato come una serie di posizioni siano tutt’oggi scoperte. Allo stesso tempo il riordino della rete ospedaliera è lo strumento che abbiamo messo a punto per recuperare risorse che ci consentano di tornare a investire soprattutto in nuove tecnologie e in edilizia sanitaria, costruendo nuovi ospedali e riorganizzando quelli già esistenti. Altro obiettivo è quello di valorizzare l’assistenza territoriale, all’interno di un quadro in cui ci dovrà essere sempre meno bisogno della degenza. Nell’arco dei prossimi dieci anni, salvo che per le grandi complessità, l’ospedalizzazione dovrà diminuire massicciamente.
Gennaro Barbieri – QS – 2 dicembre 2014