Francesco Maesano. Sembrava il compimento di un destino manifesto, il finale perfetto di un racconto denso di urlacci e piazze stracolme che aveva portato alle Camere più di 160 parlamentari armati di apriscatole sospinti da un sentimento anti-castale potente e contagioso.
Il 13 dicembre dell’anno scorso diventava legge l’emendamento Fraccaro contro gli «affitti d’oro», quello che consentiva al Parlamento di rescindere i contratti con Sergio Scarpellini, costruttore e allevatore di cavalli: 32 milioni e mezzo annui per i palazzi Marini, sede degli uffici dei parlamentari. E quando a luglio s’è votato il bilancio della Camera la rescissione è arrivata: dal 17 novembre inizia la smobilitazione che si concluderà il 22 gennaio.
Ma volta la carta ed eccolo, l’altro lato dei tagli ai costi della politica: Milano 90, l’azienda di Scarpellini che fornisce il personale ai palazzi, mette 426 lavoratori in mobilità, senza prospettive di riassorbimento e con al collo una ciambella da 750 euro di indennità per resistere otto mesi. La più grave crisi occupazionale del Lazio, la terza per dimensioni a livello nazionale. Ai livelli delle acciaierie di Terni. La realtà oltre la narrazione.
«Siamo operai creati per rispondere alle esigenze dei parlamentari – spiega Nadia Minisini, dipendente della Milano 90, parlando di sé quasi come di un robot – e infatti ogni giorno faccio le pulizie, mi occupo dell’accoglienza, consegno la posta, faccio la hostess nella sale conferenze». Da sedici anni lavorano nei santuari del potere politico, tra il parquet chiaro e l’atmosfera da termostato ben regolato dei palazzi Marini. Chiudono porte, conservano documenti. Ma da ottobre non ricevono lo stipendio. Ieri la Camera s’è impegnata a procedere ai pagamenti detraendo le somme dai crediti che la Milano 90 vanta nei suoi confronti.
Poi c’è la questione della mensa. Meno grave, certo. Ma chiude anche quella già dal 30 novembre e serviva ogni giorno oltre 500 pasti ai collaboratori dei deputati e al personale delle ditte esterne. Complicato definirli casta. Il collegio dei questori della Camera ha in mente di risolvere il problema allargando l’uso del famoso ristorante dei parlamentari anche a giornalisti e assistenti.
I parlamentari sono inquieti. Dopo aver votato per la rescissione dei contratti si sono accorti che trovare spazi alternativi per le oltre 400 stanze dei palazzi Marini non è impresa facile. Duecento uffici verranno approntati tra i palazzi Valdina e Theodoli, grandi saloni trasformati in open space. «Ma non c’è assicurazione sulla simultaneità dello spostamento e in ogni caso si tratta di numeri insufficienti, che coprono la metà delle esigenze», sottolinea in una lettera ai “suoi” deputati Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto, parlando di un’operazione che «incide profondamente sulle concrete modalità di esercizio del mandato parlamentare».
«Ci ammasseranno l’uno sull’altro. Io a questo punto prenderò una casa più grande e metterò lì il mio studio», lamentava in settimana una deputata. Una Cinque Stelle, per inciso.
La Stampa – 15 novembre 2014