Pagare le pensioni il 10 del mese e non più il primo giorno, non è una buona idea. «La decisione, se presa per motivi amministrativi e informatici, doveva essere spiegata meglio — dice Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro del governo Monti — Se invece si pensa di posticipare la data con l’obiettivo di realizzare un risparmio, direi che ci troviamo davanti ad un’operazione di piccolo cabotaggio».
Partiamo proprio dai risparmi che il posticipo previsto dalla Legge di stabilità potrebbe garantire: l’Inps lo quantifica in sei milioni.
«Ecco, se la cifra è questa si poteva evitare lo scompiglio che l’operazione porterà nella vita dei pensionati. C’erano alternative migliori».
Quali per esempio?
«Tornare al contributo di solidarietà sulle pensioni alte, misura che la Corte Costituzionale bocciò e che invece secondo me era giusta. Un provvedimento del genere avrebbe garantito risultati decisamente migliori e avrebbe risposto a criteri di equità. Il posticipo di dieci giorni è un mezzuccio. Non so chi abbia avuto quest’idea, mi sembra un’operazione di piccolo cabotaggio».
A dire il vero il governo non parla di risparmi. La norma, recita il testo, sarebbe giustificata dalla «necessità di razionalizzare e uniformare le procedure».
«Se così fosse l’operazione andava spiegata meglio. Non era nemmeno necessario inserirla nella Legge di stabilità, perché se il motivo è amministrativo o informatico non c’è urgenza. Lo scompiglio, ripeto, si poteva evitare».
E’ solo scompiglio o, come dicono i
sindacati, c’è un accanimento contro la categoria?
«Non parlerei di accanimento, ma ricordo che i pensionati sono già stati oggetto di una riforma: mi riferisco alla deindicizzazione degli assegni oltre i 1400 euro, misura alla quale cercai di oppormi, ma che fu ritenuta necessaria. Considerato che si tratta di persone escluse dal mondo del lavoro che non hanno la possibilità di rifarsi in altro modo, penso che la categoria non andrebbe ulteriormente toccata».
Anche il Tfr in busta paga è un mezzuccio?
«Qui il caso è un po’ più complesso, anche se non mi pare che si tratti di una grande operazione. E’ fondamentale che avvenga su base volontaria, non credo che garantirà risultati, a maggior ragione se la partita fiscale si tradurrà in un aggravio. I lavoratori sono attaccati al Tfr, lo percepiscono come ri- serva per il futuro e, a meno che non siano in gravi difficoltà economiche, non penseranno di spenderlo in consumi».
Secondo lei perché il governo prevede l’anticipo in busta paga solo per tre anni?
«Perché si fa sperimentazione sociale su quello che è un cambiamento culturale: le riforme non nascono perfette è giusto tenere conto delle risposte. L’operazione non avrà costi né per i lavoratori — purché possano scegliere — né per le banche, né per le aziende, che non hanno nulla di cui lamentarsi. E d’altra parte, in tempi di crisi, il Tfr è una riserva che fa gola a tutti i governi».
Allora come mai il suo non lo toccò?
«Eravamo tecnici, non abbiamo fatto nulla in tema di previdenza integrativa, che è una gran bella cosa, ma richiede risorse».
Lei come ministro fu molto criticata dall’opinione pubblica per le riforme sul lavoro e sulle pensioni. Cosa prova quando vede che il governo Renzi tratta male i sindacati e prende misure pesanti suscitando meno ostilità?
«Io ero piuttosto sola, fra i ministri più tecnici in un governo tecnico che non aveva alle spalle partiti che lo appoggiassero. Come tecnico non potevo nemmeno sfidarli come Renzi fa. Ho cercato di operare sempre nell’esclusivo interesse del Paese. La mia sfida era pensare ad altro quando in Aula sentivo accuse assurde espresse nei miei confronti con un linguaggio spesso inaccettabile».
Repubblica – 22 ottobre 2014