«Non credo che convenga alle istituzioni continuare una polemica sui tagli, sugli sprechi, prima di guardare in casa propria». Gli sguardi interrogativi, quasi smarriti, dei giornalisti coreani e vietnamiti davanti all’insolita esternazione dell’ospite italiano del vertice Asem, il premier Matteo Renzi, parlavano da soli.
Difficile, del resto, immaginare che un presidente di turno dell’Unione europea si potesse alzare dal tavolo dove stava presiedendo i lavori del vertice con altri 50 capi di Stato e di Governo per affidare a tutta la stampa internazionale (non solo a quella italiana) la sua amarezza, quasi rabbia, per le critiche alla Legge di stabilità da parte delle Regioni presiedute dal suo “compagno” di partito Sergio Chiamparino. Un duello ingaggiato già qualche ora prima con scambi polemici su Twitter e poi esploso con le dichiarazioni sotto le bandiere del vertice Asem. Una gaffe che sta rischiando di mettere in ombra il difficile e complesso lavoro della nostra diplomazia per la preparazione del vertice e rendere quasi evanescente la mediazione italiana sulla vicenda ucraiana, resa possibile dall’invito al presidente Poroshenko che formalmente non fa parte, a differenza del presidente russo Putin, del formato Asem. Vicenda, quest’ultima, sulla quale il premier italiano si è trovato, tra l’altro, costretto a subire lo straripante protagonismo della cancelliera tedesca Angela Merkel che avrebbe dovuto avere ieri contatti diretti sia con Putin che con Poroshenko prima di quelli fissati dall’agenda italiana. Incontri fatti slittare solo all’ultimo momento per non offendere i padroni di casa (soprattutto il presidente Napolitano). Nessun confronto diretto Renzi-Merkel sui conti pubblici italiani ma solo un siparietto durante la photo opportunity. Renzi era già pronto per i fotografi, insieme con Barroso e Van Rompuy e all’arrivo della cancelliera tedesca l’ha salutata stringendole la mano e dicendo «ciao Angela», poi «Buonasera… buon pomeriggio». Quindi, guardando l’orologio: «Buongiorno, buon pomeriggio, è lo stesso, we are flexible…». La Merkel è scoppiata in una risata avendo perfettamente compreso il riferimento alla “flessibilità” tanto invocata dall’Italia nel fiscal compact.
Ma se il protagonismo della Merkel non ha minimamente offeso la suscettibilità di Renzi, non altrettanto si può dire per la posizione degli enti locali sulla Legge di stabilità. «Noi cerchiamo di gestire al meglio i soldi degli italiani con una manovra da 36 miliardi – ha esordito Renzi davanti alla stampa – abbiamo ridotto le tasse per 18 miliardi di euro; abbiamo chiesto alle Regioni 2 miliardi ma credo che si debba avere un po’ di senso della misura. Non credo che convenga alle istituzioni continuare una polemica sui tagli, sugli sprechi, prima di guardare in casa propria». Renzi si è detto pronto a incontrare i presidenti delle Regioni ma «se l’Italia vuole ripartire, e noi la faremo ripartire, c’è bisogno di ridurre gli sprechi per tagliare le tasse». Per questo il presidente del Consiglio ha definito «inaccettabili» le polemiche di chi propone di rialzare le tasse a livello locale per un miliardo. Si tratta, per Renzi, di un atto «al limite della provocazione». Prima di accampare pretese le Regioni, secondo Renzi, devono «iniziare anche loro a fare gli sforzi perché le famiglie italiane gli sforzi li stanno facendo da anni. Ora tocca anche ai consiglieri regionali, agli assessori regionali, ai presidenti delle Regioni. Se vogliono sfidarci su questo campo ci siamo».
Il nervosismo di Renzi può ritenersi giustificato solo in parte dall’attesa per il verdetto di Bruxelles sulla Legge di stabilità. Renzi spera che la nuova Commissione sappia interpretare la necessità di stimolare la crescita e affrontare il «momento delicato» della situazione economica e finanziaria internazionale. L’Europa, secondo Renzi, «deve farsi trovare capace di una risposta economica che investa sulla crescita e non sia solo rigore e austerity». L’Italia, ha ripetuto il premier, ha rispettato e rispetta il 3%, ha le carte in regola ma l’Europa «fin dal prossimo consiglio europeo, deve riflettere un po’ di più» perché «la crisi non è risolta, è internazionale, di fiducia». Una risposta è attesa dal G20 di novembre in Australia e richiederà grandi investimenti sulla crescita come suggeriscono le «raccomandazioni dell’Fmi» che, ha chiosato il premier, «non mi paiono pericolosi comunisti».
Il Sole 24 Ore – 17 ottobre 2014