di Giuseppe Remuzzi. Come è possibile che l’Ospedale Careggi di Firenze spenda di energia elettrica 10 volte di più del Niguarda? E a Napoli il doppio che a Bologna per le pulizie? E com’è che a Catanzaro si spende di telefono tre volte di più che in qualunque altro ospedale? Non lo so, non lo sa nessuno: ma se chi governa la sanità si sforzasse di capirlo si potrebbero avere cure migliori per tutti, si realizzerebbero grandi risparmi e si potrebbe persino fare a meno dei ticket.
Sapere come si spendono i 50 miliardi che ogni anno vanno all’assistenza ospedaliera e di quanto ciascun ospedale si discosta dalla media nazionale ( Corriere 6 ottobre) è il punto di partenza per poter fare quello che il professor Howard Brody auspica per gli Stati Uniti. L’articolo è pubblicato sul più grande giornale di medicina del mondo, il New England Journal of Medicine, gli hanno messo un titolo bellissimo — «Dall’etica dei tagli all’etica di evitare gli sprechi». Brody scrive che, per ridurre i costi, certi servizi vanno potenziati e altri vanno ridotti o eliminati.
Se a Parma far funzionare l’ospedale costa, a parità di prestazioni, il 20% in meno della media nazionale e a Udine il 20% in più, cominciamo a chiederci perché. Che senso ha sostituire il 50% dei medici e degli infermieri che vanno in pensione, e farlo dappertutto, come se gli ospedali fossero tutti uguali? Una domanda così dev’essersela fatta anche il ministro Renato Balduzzi che ai tempi della spending review di Monti si affrettò ad aggiungere «niente tagli automatici, dobbiamo intervenire con equilibrio». Giustissimo, poi però non se ne è fatto nulla.
Uno di questi giorni, in un grande ospedale del Nord, medici e infermieri ricevono una lettera che dice più o meno così: «Da domani siete invitati a ridurre del 10% l’utilizzo di pannoloni». Non è uno scherzo: la lettera c’è davvero. Ora: se qualcuno i pannoloni se li porta a casa va denunciato, ma chi li usa in modo corretto deve poter continuare a farlo, perché se dieci persone con problemi di incontinenza ogni cento vengono lasciate senza pannolone aumentano complicazioni infettive e piaghe da decubito. A parte il disagio, alla fine si spende anche di più.
Ci si dovrebbe invece occupare dei tanti interventi che non portano a nulla e che insieme fanno fino al 30% della spesa. L’etica di evitare gli sprechi deve diventare un imperativo morale anche perché — scrive ancora Brody — «se per dare tutto a tutti dovessimo esaurire le risorse, non ci sarebbe più niente per nessuno».
Impresa impossibile? Nient’affatto. La rivista Lancet ha di recente documentato come questo sia stato fatto in almeno 5 regioni del mondo: Bangladesh, Etiopia, Kirghizistan, Thailandia e nello stato indiano del Tamil Nadu. Come? Seguendo quattro criteri: 1. avere le idee chiare su chi spreca e chi no; 2. sapere governare il sistema; 3. avvalersi di una burocrazia efficace; 4. trovare soluzioni innovative nonostante le risorse limitate per venire incontro ai bisogni della gente.
In Kirghizistan, una delle più povere tra le repubbliche ex sovietiche, c’erano troppi ospedali, troppi dottori e nessuno che avesse conoscenze per fare medicina con standard di oggi. Fra il 2000 e il 2003 il governo ha chiuso il 42% degli istituti, creato Case della salute e riconvertito gli operatori a ruoli di prevenzione e assistenza. La mortalità infantile è diminuita del 50%, il 98% delle donne che partoriscono è oggi assistita da una persona competente, si vaccina il 90% dei bambini. Il segreto? Il primo presidente di quel Paese, Askar Akayev, ha fatto della riforma del Servizio sanitario una priorità, ha varato una legge formidabile (sopravvissuta a due rivoluzioni) e aperto il Kirghizistan alla comunità internazionale.
Si dirà che sono soluzioni da Paesi poveri: non è vero nemmeno questo. In India, a Bangalore, hanno messo in piedi un centro di chirurgia del cuore che attira ammalati di tutto il mondo. La qualità delle cure è identica alla nostra. La spesa è decisamente inferiore.
Il Corriere della Sera – 14 ottobre 2014