di Roberto D’Alimonte, dal Sole 24 Ore. Molti non hanno ancora capito cosa è successo con il voto del 25 febbraio 2013. Quelle elezioni non sono state come le altre. Hanno segnato una rottura profonda degli equilibri politici su cui si regge il Paese. Hanno rappresentato una svolta, per certi aspetti drammatica, della nostra storia recente. Ricordiamo i fatti.
L’aspettativa largamente diffusa era che da quel voto sarebbe venuta fuori una maggioranza di centro-sinistra imperniata sull’asse Bersani-Monti. Era l’esito auspicato dall’Europa. E invece non è andata così. Gli elettori italiani non si sono allineati alle aspettative prevalenti fondate su wishful thinking e sondaggi fasulli.
Per la prima volta in un Paese dell’Unione Europea le elezioni politiche sono state vinte da un partito populista, antieuropeo. Perché il vincitore di quelle elezioni – sia chiaro – è stato Grillo. Per chi non lo ricordasse il M5S alla Camera ha preso il 25,6% dei voti contro il 25,4% del Pd e il 21,6% del Pdl. Nemmeno Forza Italia nelle elezioni del 1994 ha ottenuto un risultato simile. Per Grlllo hanno votato tutti: giovani e meno giovani, laureati e diplomati, manager e operai, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. Un vero “partito acchiappatutti”. Il successo di Grillo è stato un urlo di protesta di un Paese che non ne può più. E la sua vittoria è stata anche la vittoria di Renzi. Se dal voto del 25 febbraio fosse venuto fuori un governo Bersani-Monti oggi Renzi sarebbe una figura marginale della politica italiana. E invece quel voto ha aperto a Renzi prima la strada del partito e poi quella del governo.
Cosa è cambiato da quel giorno? Poco o niente. La situazione politica, e soprattutto quella parlamentare, sono più o meno le stesse. Certo, ci sono stati movimenti fra i gruppi parlamentari e ci sono state scissioni ma il quadro di fondo è sempre fragilissimo. L’Italia è ancora sull’orlo della ingovernabilità. Stretta tra un Berlusconi, che è sempre lì con il suo pacchetto di elettori fedeli, le sue Tv e le sue figlie, e un Grillo che aspetta il cadavere del Paese sulla riva del fiume. Le defezioni nel campo di Berlusconi e in quello di Grillo non hanno cambiato gli equilibri parlamentari. Il M5S non si è sgretolato e il Ncd di Alfano non è decollato. Il governo si regge ancora su una maggioranza fragilissima. Al Senato il premier può contare, sulla carta, su circa 170 voti. Ma in questo calcolo ci sono tutti, i delusi dentro il partito di Alfano e i dissidenti dentro il Pd. Questi sono i numeri. Il resto sono chiacchiere.
Ma forse c’è chi pensa che esistano altre maggioranze. Quali? Tra chi? O magari c’è chi pensa che Renzi sia sostituibile con un altro leader del Pd. Illusione. Renzi oggi è il Pd. Che piaccia o meno. Ma il vero punto è un altro. Il Paese di oggi non è diverso rispetto a quello che ha urlato la sua voglia di cambiamento il 25 febbraio. La voglia di votare contro tutti e contro tutto è la stessa e cova sotto la cenere. I condizionamenti europei sono gli stessi e, come abbiamo già detto, gli equilibri in Parlamento sono gli stessi. E di tutto questo Renzi deve tener conto nella sua azione di governo.
Il premier ha sicuramente fatto molti errori da febbraio a oggi. Nella composizione del governo, nella tempistica delle riforme, nella sottovalutazione della complessità del processo legislativo, nel rifiuto di costruire intorno a sé uno staff di collaboratori che non siano solo gli amici fidati. E chi più ne ha più ne metta. Ma non ha sbagliato nel rivolgersi al Paese reale cercando un consenso senza il quale oggi in Italia non si va da nessuna parte. In democrazia contano i voti, non i desideri. E Renzi ha dimostrato – alle europee – e continua a dimostrare – con la popolarità di cui gode – cosa serve per mantenere il consenso. E tutto ciò nonostante il perdurare della crisi economica. Con una situazione parlamentare difficile come quella che ha ereditato e con la difficoltà di andare alle urne con questo sistema elettorale, o con il prossimo che ancora non c’è, il consenso popolare è la sola carta che il premier ha in mano in questo momento.
È giusto però incalzare Renzi, spingerlo a dare concretezza alla sua azione, perché è solo nei risultati sull’economia che il premier saprà mantenere quel consenso e trasformarlo in qualcosa di positivo per il Paese. Visti gli scenari parlamentari che abbiamo descritto è anche un percorso obbligato, perché altri scenari sono astratti. A meno che qualcuno non pensi che la vera alternativa a Renzi sia la troika. Ma anche la troika avrebbe bisogno di voti in Parlamento. Chi glieli darebbe?
Il Sole 24 Ore – 5 ottobre 2014