Non c’è ancora accordo nella maggioranza sul Jobs act, il disegno di legge delega sulla riforma del mercato del lavoro, che domani riprende il percorso parlamentare nella commissione Lavoro del Senato, in prima lettura. Ieri mattina c’è stato un incontro tra il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il presidente della commissione, nonché relatore del provvedimento, Maurizio Sacconi.
Quest’ultimo, che è anche capogruppo dei senatori del Nuovo centrodestra, è tornato alla carica con la richiesta del suo partito di approvare un emendamento che deleghi il governo a cancellare per via diretta o indiretta l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti senza giusta causa. Ncd, forte delle parole dello stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che da un lato ha derubricato l’articolo 18 a una questione irrilevante ma dall’altro ha parlato della necessità di riformare tutto lo Statuto, chiede ora un emendamento in tal senso che, assumendo il carattere di una delega ad ampio raggio, consentirebbe di intervenire anche sull’articolo 18. Poletti, però, ha preso tempo, manifestando tutte le sue perplessità e resistenze ad accogliere la richiesta del partito di Angelino Alfano, nel timore che un eventuale cedimento possa aprire lo scontro con mezzo Pd e mettere a rischio il cammino del disegno di legge.
Subito dopo Poletti è andato a Palazzo Chigi per un incontro con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e un breve saluto con il premier Matteo Renzi. Al centro della riunione con Delrio ci sarebbero stati i fondi europei del programma 2014-2020: circa 41 miliardi di euro ai quali si sommano i cofinanziamenti nazionali. L’Italia punta a chiudere l’accordo con Bruxelles entro questo mese e Delrio, che ha la delega in materia, insieme con Poletti ha esaminato in particolare i programmi di inclusione sociale sui quali potrebbero essere concentrati i fondi. Si tratta in particolare della lotta alla povertà attraverso la messa a regime e il rafforzamento del Sia, il sostegno all’inclusione attiva avviato dal predecessore di Poletti, Enrico Giovannini, che prevede percorsi personalizzati di inserimento sociale e lavorativo su misura per le famiglie povere e un assegno che può arrivare ora fino a un massimo di 400 euro. Secondo fonti di Palazzo Chigi e del ministero del Lavoro non si sarebbe parlato del Jobs act, ma non è escluso che Poletti ne abbia accennato a Renzi. Che comunque dovrà decidere se accettare o meno la richiesta di Ncd di presentare un emendamento all’articolo 4 della delega, che verrà esaminato probabilmente la prossima settimana. Non si sarebbe parlato neppure di pensioni, ma ieri sera lo stesso Poletti, intervenendo alla festa dell’Unità di Monasterace ha confermato che è allo studio l’ipotesi del prestito pensionistico a se stessi per i lavoratori delle aziende in crisi, che, se licenziati a 3-4 anni dalla pensione potrebbero intanto prenderne un anticipo (6-700 euro al mese) da restituire poi in piccolissime rate da quando prenderebbero la pensione piena. «Cercheremo di mettere dentro alla legge di Stabilità — ha detto il ministro — uno strumento per le persone avanti nell’età del lavoro, che non hanno ancora maturato il diritto alla pensione. Dobbiamo trovare il modo che chi perde il lavoro e non può ritrovarlo abbia almeno un reddito minimo per poter arrivare alla pensione».
Intanto nessun segno di ripresa dell’occupazione si registra nelle grandi imprese, quelle con almeno 250 addetti. A giugno non si è creato un posto di lavoro in più rispetto a maggio e se il confronto si fa con giugno del 2013 si osserva una diminuzione dello 0,8% al lordo della cassa integrazione e dello 0,5% al netto, dice l’Istat. Ed è sceso anche il numero di ore lavorate per dipendente: dell’1,2% in un anno. Rispetto a giugno del 2013, infine, la retribuzione lorda e il costo del lavoro per dipendente sono aumentati rispettivamente del 2,2% e dell’1,6%. Dati, che seppure limitati alle grandi imprese, segnalano al governo le priorità: il rilancio dell’occupazione e il taglio del costo del lavoro. Sul primo punto l’esecutivo è intervenuto col decreto che ha liberalizzato i contratti a termine e facilitato l’apprendistato e appunto con il Jobs act. Sul costo del lavoro, il governo ha ridotto del 10% l’Irap quando ha varato il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti, promettendo che avrebbe fatto di più nel 2015. Ma bisogna prima trovare le risorse.
Enrico Marro– Il Corriere della Sera – 3 settembre 2014