La tensione tra Mosca e Bruxelles è destinata a salire mentre il fatturato dei coltivatori e dei produttori veneti rischia drammaticamente di scendere. E di sprofondare oltre la perdita inizialmente stimata a cento milioni di euro, a causa di un possibile inasprimento del blocco alle merci europee.
Per quanto il cancelliere tedesco Angela Merkel getti acqua sul fuoco annunciando che non ci saranno nuove sanzioni nei confronti della Russia – nemmeno dopo che il presidente Vladimir Putin ha dato ordine ai suoi convogli di superare il confine ucraino in aperta sfida con l’Europa e la Nato -, il Cremlino sembra intenzionato a estendere l’embargo, al momento riservato solo all’agroalimentare, anche ad altri settori. «Lanciamo un appello a palazzo Chigi e agli organi di governo dell’Unione europea per far ritirare l’embargo il prima possibile», dice il presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato che insieme al collega Nereo Laroni ha convocato per mercoledì una commissione e ha invitato a palazzo Ferro Fini il primo settembre i parlamentari e gli eurodeputati veneti per trovare una soluzione condivisa che tuteli gli agricoltori e i produttori della regione.
La stima dei danni a livello nazionale fatta dal centro studi del consiglio regionale è infatti drammatica: 591 milioni di dollari bruciati e novemila posti di lavoro in meno. «Il blocco russo non colpisce soltanto il settore dell’agroalimentare per cui le conseguenze sono immediate, ma anche gli altri comparti che faranno i conti nel medio periodo», continua Ruffato a cui fa eco il presidente degli industriali bellunesi Gian Domenico Cappellaro preoccupato perché «le aziende del settore ortofrutticolo e agroalimentari devono buttare la merce e ridurre la produzione, senza dimenticare che altri Paesi come la Turchia si sono subito attivati con politiche commerciali aggressive per sottrarre i nostri clienti in un mercato importante e in continua crescita». Negli ultimi anni migliaia di imprese venete sono sopravvissute alla crisi del mercato interno proprio grazie al traino dell’economia russa in costante espansione. Il marchio made in Italy ha spinto nel 2013 il totale delle esportazioni dalla nostra regione a Mosca e San Pietroburgo a quasi due miliardi di euro (vedi grafico a destra) creando migliaia di posti di lavoro che oggi sono a rischio. I territori che si sono maggiormente distinti in Russia sono quelle di Vicenza, Padova e Verona, ma anche le altre quattro province venete hanno visto incrementare sensibilmente la loro quota di mercato. «È necessario integrare le possibili destinazioni dei prodotti ritirati e prevedere prezzi di ritiro più congrui per la merce che resterà bloccata – è intervenuto il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina -. Ora ci attiveremo per condividere questi obiettivi con Francia, Spagna e Grecia, che sono gli altri Paesi comunitari interessati alle misure di crisi proposte». Le conseguenze dell’embargo saranno analizzate in sede europea il 5 settembre prossimo ed è possibile che Bruxelles provi ad ampliare il plafond dei risarcimenti per i produttori agricoli che al momento è stato fissato a 125 milioni di euro per tutte le imprese europee. Il Veneto però non ha così tanto tempo e non può aspettare altre due settimane per avere una risposta. L’economia corre veloce e quella di chi tratta prodotti freschi e quindi facilmente deperibili ancora di più. Sono bastate appena due settimane di blocco perché alcune aziende tra il Veneziano e il Padovano fossero costrette a ridurre il personale lasciando a casa i lavoratori stagionali, gli interinali e i contratti a tempo determinato.
Alessio Antonini – Il Corriere del Veneto – 24 agosto 2014