West Point non ha cadetti ma giovani disperati: nella più popolosa e fetida baraccopoli di Monrovia, quattro bagni pubblici per 75mila abitanti, ci mancava solo lo spettro dell’Ebola. Il virus che fa paura al mondo, partito a febbraio dalle foreste della Guinea, continua a mietere vittime anche in Sierra Leone, viene «contenuto» in Nigeria (4 decessi) mentre in Liberia sembra aver trovato il suo Paese d’elezione (411 morti accertati, 116 casi in due giorni) e nella latrina a cielo aperto di West Point un’ottima testa di ponte per dilagare in città.
Fermare il contagio chiudendo le strade: alla vigilia di Ferragosto Ellen Johnson-Sirleaf, prima donna presidente dell’Africa, aveva chiesto alla task force governativa di valutare la messa in quarantena della maggiore baraccopoli della capitale. La voce si è propagata e sabato sera un gruppo di giovani armati di bastoni, al grido di «non c’è l’Ebola in Liberia» e «Johnson-Sirleaf si vuole arricchire con l’emergenza», ha assaltato il centro di osservazione allestito in una scuola di West Point dove si trovavano 30 persone già risultate positive ai test. «Hanno buttato giù le porte e saccheggiato la clinica», ha raccontato la testimone Rebecca Wesseth. Sono scappate le infermiere e anche i malati. Suona grottesca la precisazione del ministero della Salute, secondo cui i fuggiaschi infetti sono «solo» 21 perché gli altri erano già morti. Agghiaccianti i dettagli dell’attacco, tenendo conto di quanto gli assalitori hanno portato via: strumenti infetti, lenzuola macchiate di sangue, materassi sporchi e probabilmente contaminati.
«Ebola non esiste», gridano i ragazzi, la povertà sì. Però Ebola continua a uccidere, anche i poveri che si portano a casa un bottino di lenzuola infette, anche gli operatori sanitari con le tute isolanti d’importazione: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) l’epidemia in Africa Occidentale ha colpito 170 tra infermieri e medici uccidendone almeno 81. Assalti alle cliniche e rare gocce di vaccino: proprio sabato, mentre la folla attaccava il centro di West Point, dall’altra parte della città l’ospedale John F. Kennedy annunciava la somministrazione delle prime dosi del farmaco sperimentale ZMapp a tre malati africani. Tre medici, due liberiani e un nigeriano. Il possibile miglioramento dei due missionari-medici americani e del sacerdote spagnolo curati con ZMapp ha provocato una campagna per la distribuzione del farmaco in Africa (anche su Twitter con l’hashtag #giveustheserum ). In realtà è una strada in salita: l’Onu sostiene che finora sono state prodotte solo 10-12 dosi del vaccino (la cui efficacia è tutta da dimostrare). Ebola si riproduce più velocemente. L’epidemia ha un tasso di mortalità del 55%. Ci si ammala attraverso il contatto con i liquidi corporei di malati e cadaveri, dunque in teoria meno facilmente di come si prende un’influenza. Ma è una minaccia mortale, tanto da indurre l’Oms a proclamare un’emergenza internazionale. Intorno a Liberia, Sierra Leone e Guinea si va stringendo di fatto un cordone di isolamento: il Kenya da domani rimanderà indietro i viaggiatori provenienti dai tre Paesi, la Kenya Airways come altre compagnie sospende i voli. Gli economisti hanno già calcolato che Ebola costerà a questa fetta di Africa almeno un punto percentuale di Pil.
Come si misura il prodotto interno della paura? Ci sono indicatori infallibili: in Sierra Leone la folla ha assaltato alcune settimane fa un’ospedale per «liberare» i malati. A Lagos, città di 20 milioni di abitanti con migliaia di medici, solo una dozzina ha risposto alla chiamata per l’emergenza Ebola (e all’esca di 140 euro al giorno). A Monrovia la squadra dei becchini anti-virus gira con la scorta armata e i giornali locali raccontano di cadaveri bloccati per giorni sul ciglio della strada, sotto un tappeto, perché la gente del quartiere non vuole morti che arrivino da zone più contaminate. Il ministero della Salute nei giorni scorsi ha ammesso senza imbarazzo che i malati del centro di osservazione di West Point non avevano da mangiare. Se non c’è il vaccino, almeno dategli il cibo.
Michele Farina – Il Corriere della Sera – 18 agosto 2014