Anna Zafesova. Dentro il suo Paese Vladimir Putin gode dell’87% dei consensi, il record in 15 anni di governo. Fuori, è sempre più isolato e criticato. Mentre la partita militare aperta quattro mesi fa nell’Est ucraino sta volgendo a termine, il presidente russo deve giocare su più scacchiere contemporaneamente, in un difficilissimo tentativo di salvare la faccia senza sprofondare in una crisi economica e diplomatica.
Il convoglio bloccato
Mosca ha inviato nelle zone controllate dai separatisti filo-russi un convoglio umanitario di 287 camion, che gli ucraini sospettano porti soccorsi ai guerriglieri. Ma più probabilmente, è una operazione di immagine. Una mossa che appariva vincente in entrambi i casi: se gli ucraini avessero fatto entrare il convoglio, sarebbe stata una occasione per mostrare solidarietà ai filo-russi e gridare al disastro umanitario, se l’avessero bloccato, Mosca avrebbe potuto denunciare la crudeltà della «giunta di Kiev» e magari avere il pretesto per un intervento «umanitario». Proprio per questo Washington aveva consigliato di accettare gli aiuti russi. Kiev ha trovato una strada più «burocratica»: da tre giorni il convoglio è fermo al confine, in attesa di concordare con la Croce Rossa liste, controlli e condizioni per far passare il carico.
Le sanzioni
Il contro-embargo sugli alimentari europei ed americani introdotto per spezzare il fronte occidentale ha creato un’emergenza. Mentre i prezzi su alcuni prodotti «sanzionati» sono schizzati, Mosca cerca affannosamente nuovi fornitori. Dall’Egitto arriveranno cipolle e aglio, dal Cile il pesce, mentre la Bielorussia gongola nella speranza di reimportare i prodotti banditi con la sua etichetta. Il governo promette di punire gli «speculatori» che aumenteranno i prezzi sui prodotti che scarseggiano, e il partito putiniano Russia Unita farà raid nei supermercati a caccia di formaggini e verdure proibite. Ma intanto sono state concesse alcune eccezioni: la dieta dei celiaci russi è composta al 95% da prodotti importati, e gli allevamenti ittici (parte dei quali di oligarchi della cerchia di Putin) non possono operare senza materie prime estere. I diabetici stanno facendo scorte di insulina europea, terrorizzati che l’embargo venga esteso ai medicinali.
Il nodo dell’energia
A Kiev l’acqua calda è staccata per risparmiare metano, che la Russia non fornisce più da mesi. E ora l’Ucraina minaccia di chiudere anche il transito del gas russo, che creerebbe un’emergenza in Europa ma ancora prima prosciugherebbe le entrate del Cremlino. A Mosca gira voce di nuove contro-sanzioni, per esempio sulle automobili, incluse quelle assemblate in Russia (finora il premier Medvedev ha proibito agli enti statali e municipali solo l’acquisto di quelle costruite all’estero) come le Ford, le Bmw e le Toyota. Intanto la major statale Rosneft ha chiesto finanziamenti miliardari al governo per saldare i debiti con le banche occidentali.
Il sostegno popolare
In compenso, il capitale politico del presidente offre dividendi alti come mai prima. L’ostilità verso l’Occidente e l’esplosione di orgoglio nazionale per l’annessione della Crimea rendono in questo momento impensabile l’esistenza di un’opposizione che non sia ridotta a Facebook. Ma la situazione economica, già difficile prima della crisi ucraina, ora rischia di ridurre il tenore di vita dei russi, per la prima volta nei 15 anni putiniani. Il governo ha «congelato» parte dei contributi pensionistici destinati ai fondi privati, e le ronde di Russia Unita nei supermercati difficilmente potranno fermare l’inflazione. Ma per invertire la tendenza negativa il Cremlino deve fare esattamente il contrario di quello che gli ha portato popolarità in questi mesi: abbassare i toni della polemica con l’Occidente e accettare di aver «perso» l’Ucraina.
La Stampa – 17 agosto 2014