È come Calimero, ma all’incontrario: nel mondo dei cavalli da corsa, dove ogni trottatore nasce o baio (marrone scuro) o sauro (marrone chiaro) o morello (nero), lei è nata tutta bianca.
Non grigia, colore nel quale è già raro che incanutisca nei primi mesi il mantello di cavalli comunque nati con i colori del sauro o del baio o del morello (come testimonia la pelle scura sotto il pelo): è invece proprio albina e ha la sottocute rosa questa cavallina nata in aprile ad Assisi all’ombra della Basilica del Santo, in un allevamento di trotto animato da un frate francescano che quando faceva il bancario a Milano negli anni 80 era un declamatore di genealogie e una presenza fissa del rimpianto (perché chiuso ormai da due anni) ippodromo di San Siro.
Una trottatrice tutta bianca: mai successo prima in Italia, e parrebbe mai prima registrato nemmeno in Europa, almeno a scartabellare gli alberi genealogici delle principali nazioni del trotto continentale, punto di partenza delle ricerche che sui geni della cavalla sta ora conducendo all’Università di Perugia il professor Maurizio Silvestrelli, direttore del Centro di studio del Cavallo Sportivo presso la facoltà di medicina veterinaria.
I prodigi, a ben vedere, erano del resto iniziati già prima. E non solo perché la bisnonna neozelandese Petit Evander era una nanerottola di appena 144 centimetri di altezza, tuttavia talmente combattiva negli anni 70 da piazzarsi due volte a New York nell’«International Trot». E nemmeno solo perché la carriera di papà Gruccione Jet, morello come la pece e laureato del «Premio Presidente della Repubblica» con la regia di Giancarlo e Lorenzo Baldi, fu non poco condizionata da problemi fisici e ombrosità caratteriali culminati infine nel ritiro nel 2007 dopo aver clamorosamente gettato al vento la vittoria proprio sul traguardo del classico «Premio Tino Triossi» all’ippodromo romano di Tor di Valle. Ma soprattutto perché è già un mezzo miracolo che la cavallina bianca sia venuta al mondo: sua madre Melodiass, infatti, dopo aver racimolato in carriera appena 12.000 euro di premi vinti, una volta pensionata era diventata troppo costosa da mantenere per il suo proprietario, che così nella dura crisi del settore ippico, un momento prima di liberarsene vendendola e rischiando di avviarla al macello, la offrì a Sergio Carfagna: cioè a un ristoratore di Assisi che nel corso degli anni al proprio agriturismo aveva affiancato un allevamento di cavalli cresciuto di livello di pari passo con la passione ippica dell’amico frate Danilo Riverberi, e illustrato in corsa in particolare dalla femmina Irina («Gran Premio Freccia d’Europa») e dal maschio Iglesias, balzato alle cronache per cinque Gran Premi vinti e suo malgrado più ancora per la romanzesca storia del suo rapimento a lieto fine nel 2010.
Se la cavallina bianca — il cui nome verrà annunciato l’8 settembre ad Assisi alla presentazione di un libro di Giorgio Galvani e Vinicio Guasticchi su «La scuderia dei miracoli» — sia destinata a trottare veloce si saprà non prima del 2016, visto che ha solo cinque mesi e i cavalli da corsa come lei entrano in allenamento intorno ai diciotto mesi, per poi debuttare in pista a due anni (se precoci) o a tre anni (se tardivi). Nel frattempo l’hanno già portata a fare il suo «ballo» in società: il primo giro di pista, per la gioia dei bambini la sera di martedì scorso all’ippodromo di Cesena. (Luigi Ferrarella)
La rarità del manto la rende preziosa Come i destrieri dei re
di DANILO MAINARDI Sono rarissimi gli albini e la nascita in una popolazione di un individuo dal manto bianco è sempre qualcosa di magico, di fantastico. Fa correre la mente ai mitici leoni bianchi in Africa, a tigri ed elefanti albini in Asia, per non parlare del bianco leviatano di Melville o della colomba della pace di Picasso. Mi accadde, anni fa, di scoprire un capriolo albino, al galoppo mentre in un bosco attraversava una radura verde e la sua apparizione fu un incanto indimenticabile. D’altronde, se il gene dell’albinismo è presente in una popolazione, prima o poi qualche individuo albino non può che comparire. È un gene recessivo quello dell’albinismo, presente in mammiferi e uccelli, che in stato di purezza genotipica nasconde il colore proprio della specie, qualunque esso sia, anche il più sgargiante. I rarissimi albini spiegano bene come funziona la natura e perché, non a caso, sono rari. Se in uno stormo di colombe bigie a una, per sua disgrazia, capita di nascer bianca, sarà lei ad attrarre l’attenzione d’un falco pellegrino o di un lanario. E sarà, fatalmente, sua facile preda. Guai, in natura, a non aderire perfettamente al modello ottimale per la sopravvivenza. Modello messo a punto, generazione dopo generazione, dalla selezione naturale. Ma agli allevatori piacciono le varianti. Piace all’allevatore il cosiddetto «scherzo di natura»: se appena può ne trae una razza. La grande varietà delle razze domestiche del resto ha all’origine questa umana preferenza per le devianze dal modello ottimale. Il cavallo bianco poi, porta con sé un alone di leggenda. È protagonista di favole e di miti. È cavalcato da principi azzurri. È il cavallo dell’uomo di potere. Nelle parate è sempre il duce, il re, l’imperatore, colui che cavalca il simbolico cavallo bianco. La cavalleria lo segue montando sauri o roani o morelli, ma bianchi mai, è proibito. Nei dipinti che raffigurano lo storico incontro di Teano (splendido l’affresco nella sala del palazzo pubblico di Siena) è Garibaldi, non a caso, a cavalcare un cavallo bianco. Perché solo chi è raro è prezioso per la mente umana. Anche la puledra albina di Assisi (siamo in attesa del nome…) gode già di una sua specialissima attenzione. Quando sarà fatta correre in gare tutti gli occhi saranno per lei.
Il Corriere della Sera – 15 agosto 2014