«Attuando le riforme che dobbiamo fare, noi saremo in grado di diventare guida nell’Unione e di spingere l’eurozona verso la ripresa». Dice che non vale il «principio del mal comune mezzo gaudio» ma di certo aiuta Matteo Renzi, almeno in questo momento.
Quei dati sulla frenata in Germania, lo stallo in Francia e una stagnazione che sostanzialmente avvolge tutta l’eurozona, sono stati letti dal premier con attenzione e rilanciati in una chiave pro-crescita senza “sollevare” l’Italia dal suo dovere di fare le riforme, soprattutto dopo gli impegni che ha assunto con Mario Draghi e Giorgio Napolitano nei due incontri dei giorni scorsi. Il premier non gira intorno alle parole e mette in fila quei numeri: «Non c’è un caso-Italia» mentre c’è un caso-Europa se perfino Berlino torna a conoscere il segno meno del Pil. «Non c’è una situazione di crisi dell’Italia rispetto all’Eurozona che viaggia a velocità doppia: questo è accaduto in passato, ora la situazione è cambiata, l’intera eurozona vive una fase di stagnazione». La conclusione è immediata e conseguente e cioè l’unica strada per Bruxelles non può che essere l’adozione di politiche di sostegno alla domanda. «Quando chiediamo che si stimoli la crescita non lo chiediamo per fare un favore a noi ma perché è l’unica ricetta per l’Europa».
È in una delle tappe del suo tour nel Mezzogiorno – da Napoli a Gela passando per Reggio Calabria e Termini Imerese – che Renzi legge le cifre sul Pil di ieri e decide anche di correggere la tempistica dell’Istat: «Siamo stati gli unici a consegnare i nostri dati sull’economia con una settimana di anticipo. Ora ho chiesto all’Istat di darli insieme agli altri perché se dobbiamo stare una settimana a sentirci dire che siamo in crisi per poi scoprire che siamo come gli altri…». Insomma, la comunicazione ha le sue regole anche su numeri sempre meno benevoli. Quello che, però, riguarda solo l’Italia è la necessità di un intervento anche nelle politiche dell’offerta, quelle riforme strutturali su cui Renzi ha preso impegni chiari e in tempi brevi sia con Mario Draghi che con Giorgio Napolitano. Due incontrichiave, i cui effetti si potevano sentire anche dalle promesse rilanciate ieri dal premier. «Oggi l’Italia, facendo le riforme che deve, può essere in grado di diventare guida in Europa e trascinare l’eurozona fuori dalla crisi. Tutti devono fare la propria parte con convinzione e determinazione per conquistare la leadership in Europa». È vero, poi, che la leadership è anche saper motivare e ieri Renzi ce l’ha messa tutta a pungolare – e anche sferzare – il Sud sul clima «di rassegnazione» che deve finire, sulla capacità di uso dei Fondi europei «che è salito dal 50% al 58% ma non è ancora sufficiente». E addirittura ha promesso – in Calabria – che sarà di nuovo lì a novembre per verificare i risultati. «Ci aiuta l’Europa, ma de che?», ha risposto cedendo al romanesco e incalzando le classi dirigenti meridionali: «Se il Sud o l’Italia si aspetta che qualcuno risolva i problemi è finita».
C’è stata anche qualche contestazione a Napoli, qualche striscione a Reggio Calabria, ma le proposte di Renzi sono andate nella direzione del consenso più che del dissenso. Per esempio quando ha chiarito che «non adotteremo il modello spagnolo perché non si fa crescita tagliando i salari». E così sull’articolo 18 di nuovo derubricato a «totem» e «chiacchiericcio estivo» perché nei piani del Governo c’è «la modifica delle garanzie, non l’abolizione». Infine, conferma che la riforma della giustizia verrà varata al Cdm del 29 agosto (vedi pag. 13): dice di averne parlato con Giorgio Napolitano che, come si sa, sta seguendo quelle misure con attenzione e non vuole prove muscolari su un tema tanto delicato. «Con il presidente abbiamo parlato a 360 gradi, è in gran forma», ha detto ripassando l’elenco delle riforme economiche ma anche menzionando il vertice Ue del 30 agosto in cui si decideranno le caselle della nuova Commissione.
Dice anche che definire la riforma del Senato «autoritaria» è una «boutade estiva» e che lui è molto contento di «aver realizzato l’appello alle Camere di Napolitano». Ma il premier dà atto ai politici di aver fatto un grande passo, soprattutto cambiando radicalmente il Senato. «I parlamentari hanno dimostrato di saper cambiare, ora tocca alla classe dirigente». Giusto. Ma i cambiamenti che la classe politica dovrà affrontare non sono finiti: dal taglio della spesa, a totem come il mercato del lavoro.
Il Sole 24 Ore – 15 agosto 2014