L’epidemia di Ebola esplosa in Africa occidentale, la più grave in almeno 40 anni che ad oggi ha fatto almeno 960 vittime, è diventata ufficialmente una nuova emergenza internazionale di salute pubblica. L’allarme è stato lanciato dalla World Health Organization: «L’epidemia si sta sviluppando più rapidamente di quanto siamo in grado di controllarla – ha dichiarato Margaret Chen, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità – Prevediamo nuovi casi e crediamo che già oggi ne esistano di più di quelli riportati».
L’epicentro della crisi è stato finora in quattro Paesi, Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria. Al momento l’Organizzazione mondiale della sanità ha raccomandato solo restrizioni nei viaggi per la regione considerata il focolaio dell’epidemia, al confine tra Guinea, Sierra Leone e Liberia. Nessun divieto generale, invece, per viaggi e commercio. Anche l’Unione Europea ha cercato di tenere a bada ogni allarmismo: il rischio di un contagio è «estremamente basso», ha detto il commissario alla Sanità Tonio Borg, citando sia i pochi passeggeri in arrivo dall’area che le modalità di trasmissione del virus, attraverso contatto diretto con liquidi corporei di persone infette. Il Center for disease control and prevention americano ha tuttavia emesso una raccomandazione a non recarsi nella regione e il Dipartimento di Stato ha invitato a evitare viaggi non indispensabili in Liberia, ordinando l’immediato rientro dei familiari dei dipendenti dell’ambasciata a Monrovia.
Contro l’Ebola non esistono cure accertate né vaccini e il tasso di decessi è stato sopra il 50 per cento. L’aggravarsi dell’epidemia ha avviato così una corsa contro il tempo per una cura che ha il suo epicentro negli Stati Uniti, spesso in una fitta rete di società biotecnologiche e programmi pubblici e della Difesa. Tra i protagonisti c’è una minuscola società della California vicina al Pentagono, la Mapp Biopharmaceuticals nata nel 2003 da ricercatori universitari e sostenuta da contratti e aiuti federali, oltre alla Profectus BioSciences di New York e alla canadese Tekmira Pharmaceuticals.
Mapp ha sviluppato un siero sperimentale – ZMapp – al quale starebbero rispondendo positivamente due pazienti americani fatti rientrare dall’Africa. Il co-fondatore Larry Zeitlin ha allo studio con le autorità studi clinici più ampi, con la collaborazione della texana Caliber Biotherapeutics a sua volta nata con fondi del Pentagono per rispondere al terrorismo batteriologico.
Accelerare ricerca e produzione non è facile dagli stadi tuttora iniziali, nonostante una collaborazione decennale tra industria e governo che comprende Darpa, la divisione del Pentagono che investe in start up, l’Istituto nazionale della Sanità e la Dtra, l’agenzia predisposta a contrastare armi di distruzione di massa. Mapp ha solo nove dipendenti. Ma passi avanti sono stati compiuti: lo Us Army Medical Research Institute of Infectious Diseases annunciò già l’anno scorso il successo di test su primati con un cocktail di anticorpi, l’MB-003. Mapp era al fianco del progetto e Zeitlin rese allora nota un’alleanza con la canadese Defyrus per consolidare i progetti sugli anticorpi. L’approccio è definito «immunoterapia passiva», perché si limita a fornire anticorpi al paziente, tre plantibodies (dalla loro origine nelle piante) combinati assieme per il trattamento dell’Ebola.
Il siero, la cui efficacia resta da dimostrare adeguatamente sugli esseri umani, viene ottenuto esponendo cavie a una proteina dell’Ebola ed estraendo anticorpi, poi geneticamente modificati per renderli più simili agli anticorpi umani. Il gene di ciascuno è introdotto in foglie di tabacco grazie a una tecnologia sviluppata dalla società tedesca Icon Genetics. Sono le foglie, a questo punto, a generare l’anticorpo finale.
Sole 24 Ore – 9 agosto 2014
Ebola, allarme Oms “È la peggiore epidemia da almeno 40 anni”. Stanziati 8 milioni di euro dall’Ue
“Nei paesi colpiti, necessari controlli in aeroporti e frontiere”. Stanziati 8 milioni di euro dall’Ue. Nigeria, stato di calamità
FORSE i morti di Ebola sono già mille, mentre a ormai nove mesi dall’inizio dell’epidemia l’Oms da Ginevra dichiara l’«emergenza di salute pubblica di livello internazionale» e convoca gli esperti per valutare l’uso di farmaci sperimentali come quello testato, positivamente, sui due medici americani contagiati. Le cifre, rilasciate sempre dall’Oms, si fermano al 6 agosto: 961 vittime su 1.779 casi — più della metà, e per la maggior parte, in Sierra Leone. Da dove arriva, polemica, la reazione di Medici senza frontiere, presenti in forze sul terreno, con il direttore operativo Bart Janssens che accusa: «Per settimane abbiamo ribadito la disperata necessità di una massiccia risposta medica, le vite che vengono perse sono dovute alla lentezza di questa risposta. Ora serve un’azione immediata ». E poco dopo la Nigeria, con casi in aumento (per ora 13, con due morti), decide lo stato d’emergenza già in vigore in Sierra Leone, Liberia e Guinea, e stanzia 11,6 milioni di dollari.
Nelle stesse ore, l’Ue ha dato otto milioni di euro per aiutare l’Africa Occidentale e tranquillizzato i cittadini. «Il rischio che l’epidemia arrivi in Europa — spiega il Commissario alla Sanità Tonio Borg — è estremamente debole». In Italia, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin aveva già detto mercoledì che siamo in allerta «con discrezione » da mesi e non ci sono rischi, mentre sul sito web del ministero un vademecum continuamente aggiornato spiega tutto sul virus, i possibili contagi, i sintomi, le precauzioni.
Le dichiarazioni dell’Oms sono arrivate dopo un vertice ad hoc di due giorni con il segretario generale Margaret Chan che ha sottolineato: «È la peggiore epidemia in almeno 40 anni. Per fermarne la diffusione è indispensabile uno sforzo internazionale». Accanto a lei, il vicesegretario Keiji Fukuda rassicurava: «Ebola non è una malattia misteriosa, si può fermare, e non servono restrizioni ai viaggi. I Paesi dove c’è l’epidemia devono però fare test alle persone in uscita da porti, aeroporti e valichi di frontiera». Emergenze analoghe sono state dichiarate solo per l’influenza suina del 2009 e, in maggio, per la poliomielite. Ma l’Oms, mentre gli Stati Uniti sconsigliano viaggi in Sierra Leone, è contraria allo stop dei voli aerei nei Paesi colpiti, nonostante gli almeno 60 focolai «fuori controllo » denunciati da Msf. «Farlo — ha spiegato Chen — significa metterne in ginocchio le economie», perché si tratta di Paesi già in difficoltà, che «vanno aiutati a reagire».
Come, lo stabilirà anche la commissione che lunedì affronterà il tema dei farmaci sperimentali. La società biotech di San Diego che lavora al «cocktail di antibiotici monoclonale », come lo definisce il suo creatore Larry Zeitlin, ha impiegato due mesi a produrre due grammi di siero, usati su Nancy Writebol e Kent Brantly. Ma come fa notare la Samaritan’s Pursue per la quale lavorano i due medici contagiati, «se servono mille dosi, ci potrebbe volere un anno». Il suo vice presidente Ken Isaacs ieri polemizzava a sua volta: «Si sono dovuti ammalare due americani perché la comunità internazionale capisse che siamo di fronte all’epidemia più grave che ci sia mai stata». Intanto, negli aeroporti asiatici e africani sono stati predisposti controlli termici su chi arriva dalle aree a rischio.
Repubblica – 9 agosto 2014