La riforma della Pa è legge. Con 303 voti a favore, 163 contrari e 9 astenuti, l’aula della camera ha definitivamente convertito in legge il decreto Madia (di 90/2014), già approvato in prima lettura da Montecitorio la scorsa settimana.
Il ritorno del testo alla camera è stato necessario dopo le modifiche introdotte in senato su input del governo che, per accogliere i rilievi della Ragioneria dello stato, ha fatto marcia indietro sul finanziamento dei docenti di «quota 96» e sulla risoluzione del rapporto di lavoro di medici primari e docenti universitari allo scoccare dei 68 anni di età. Per loro non ci sarà nessun anticipo di pensione, ma resterà l’attuale soglia fissata a 70 anni.
Ora il di è atteso alla prova dei decreti attuativi (su cui negli ultimi anni si sono impantanate svariate riforme), anche se al riguardo il premier Renzi ha ostentato sicurezza su twitter, dichiarando che il lavoro sulla normativa di secondo livello e sulla legge delega, approvata da palazzo Chigi e ancora in attesa di approdare in parlamento, inizieranno subito.
Ma la soluzione del pasticcio, che impedisce ai 4.000 docenti di «quota 96» di andare in pensione subito con i requisiti antecedenti alla riforma Fornero, dovrà essere un capitolo urgente nell’agenda di governo dell’autunno. Matteo Renzi ha promesso un provvedimento ad hoc e la richiesta di fare presto è stata rilanciata ieri al termine della dichiarazione di voto sul decreto legge dai deputati di Sel.
Il decreto promosso dal ministro Marianna Madia prende le mosse dai 44 punti di riforma su cui Renzi ha avviato una consultazione pubblica a fine aprile. La parola d’ordine è svecchiare la p.a. attraverso l’incremento del turnover e l’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio che secondo l’esecutivo dovrebbe creare 15.000 nuovi ingressi nel pubblico impiego. Numeri però contestati dal sindacato secondo cui la platea dei beneficiari sarà molto più ridotta.
Nel primo passaggio alla camera il testo è stato significativamente modificato, con alcune correzioni in corsa come, per esempio, la rimodulazione del taglio dei diritti pagati dalle imprese alle camere di commercio (che doveva essere dimez- zato dal 2015 e invece sarà ridotto del 35% l’anno prossimo, del 40% nel 2016 e del 50% solo nel 2017).
Altri parziali dietrofront hanno riguardato la mobilità obbligatoria entro 50 km (da cui saranno esonerati i dipendenti con figli sotto i tre anni) e la soppressione delle sezioni distaccate dei Tar che risparmierà i tribunali amministrativi situati in città capoluogo di distretti di Corte d’appello, portando dunque alla cancellazione di soli tre Tar (Parma, Pescara e Latina) sugli otto previsti inizialmente. E anche sul taglio dei di ritti camerali pagati dalle imprese alle camere di commercio si preannuncia un autunno caldo per il governo.
I sindacati (Fp-Cgil, Cisl-Fp Uil-Fpl e Uil-Pa) sono pronti a dare battaglia e hanno costituito un tavolo permanente di confronto nazionale sulla riforma con l’obiettivo di «riorganizzare il sistema camerale difendendo i posti di lavoro e rilanciando i servizi alle imprese» e nella convinzione che il taglio dei diritti camerali, contenuto nel di 90, sebbene scaglionato, «sia un errore». «In una fase di recessione come quella certificata dall’Istat, c’è bisogno di sostenere il tessuto produttivo attraverso servizi innovativi e di qualità. Altro che ridimensionamento. Bisogna cambiare il sistema delle camere puntando sull’alta specializzazione delle professionalità e abbattendo i costi», sostengono i sindacati.
Chi invece non contesta affatto la riforma Madia sono i comuni che dal ministro della funzione pubblica (coadiuvato dal sottosegretario Angelo Rughetti, ex segretario generale dell’Anci) hanno avuto praticamente tutto quello che chiedevano da tempo soprattutto in materia di per sonale: dall’incremento del turnover, all’allentamento dei paletti sulle assunzioni a termine e dei lavoratori stagionali.
Per Marco Filippeschi, sindaco di Pisa e presidente di Legautonomie, la conversione in legge del decreto non è però un punto di arrivo, ma «un primo tassello di una riforma più ampia che arriverà in parlamento a settembre. Dunque il cantiere è ancora aperto e per i comuni si dovranno soddisfare esigenze di autonomia, flessibilità e rinnovamento che oggi sono ancora disattese»
ItaliaOggi – 8 agosto 2014