Possono salvare le api, la cui moriamette a rischio l’impollinazione delle piante e quindi anche la frutta e la verdura sulle nostre tavolo. O pulire un monumento. Impieghi così lontani da sembrare impossibili. Easembrare ancora più impossibile è che possano essere i batteri i protagonisti di questa storia.
La data d’inizio è il 2009, quando Annalisa Balloi, microbiologa e fondatrice insieme a 2 professori e tre ricercatori di Micro4you, pensa a come mettere afrutto i risultati delle suericerchesui rapporti simbiotici tra microrganismi e insetti. Le api in particolare perché sono quelle più attaccate e vittime dell’inquinamento. Le ricerche, nei tempi previsti dalla burocrazia, sono diventate un brevetto per la protezione della salute delle api con attività probiotica. Edel resto «è recente la costituzione da parte del presidente Usa Barack Obama di una task force per la protezione delle api. Una decisione che dà la misura di quanto questo problema sia sentito per le implicazioni ecologiche e economiche», spiega Annalisa Balloi nel laboratorio che hanno garantito una dote sufficiente ad affrontare i costi di costituzione della società. «Abbiamo continuato a sperimentare il nostro formulato microtico portando avanti anche diverse sperimentazioni cliniche nel campo – continua Balloi –. Trattando le api con i nostri batteri ad attività probiotica e confrontando il loro stato di salute con alveari di controllo non trattati, abbiamo visto che le larve prese dai diversi gruppi di alveari che avevamo esposte a un batterio patogeno reagivano in modo diverso. Le larve trattate con i nostri probiotici non morivano o morivano in percentuale minore rispetto alle api non trattate».
Mentre tutte le sperimentazioni, avvenute con l’approvazione del ministero della Sanità, andavano avanti, in parallelo è iniziata la ricerca di un partner industriale che potesse affiancare il gruppo di ricercatori nell’ultimare la sperimentazione clinica e nei processi di registrazione del prodotto richiesta a livello comunitario. Intanto il gruppo si è ampliato e i budget hanno consentito anche l’assunzione di 2 biotecnologi, portando così a 7 gli scienziati impegnati nella start up. A cui oggi si rivolgono aziende che chiedono l’analisi delle caratteristiche microbiche dei materiali che utilizzano, così come apicoltori per la diagnositca dei loro alveari. E imprese di restauro perché «i batteri possono essere usati anche per pulire e salvare monumenti o dipinti che oggi siamo in grado di produrre anche su vasta scala», spiega Balloi che continua la ricerca di un partner per poter passare alla fase di industrializzazione. Con una certa fatica.
Il Sole 24 Ore – 8 agosto 2014