Il Polesine perde 30 milioni. Ciambetti e Coppola: i veneti dov’erano? Tanta fatica per niente. Il risultato raggiunto dopo un tortuoso battagliare tra parlamento, Regione, ministero dello Sviluppo economico, Tar del Lazio e Consiglio di Stato, spazzato via da un emendamento di una-righina-una infilato senza clamori nell’articolo 30-quienquies del decreto legge «Competitività», approvato nella notte del 23 luglio dalle commissioni Ambiente e Attività produttive del Senato.
E tanti saluti agli sconti benzina per il Polesine. Una partita da 30 milioni di euro l’anno, legata al rigassificatore, a cui non si potrà più porre rimedio perché il tempo per presentare un eventuale contro-emendamento alla Camera è scaduto ed il governo è intenzionato a porre la fiducia sul testo così com’è, quando arriverà in aula lunedì. E pensare che Berlusconi, a suo tempo, litigò con i leghisti per la paternità di questo «straordinario risultato federalista» a beneficio del portafoglio dei veneti. Era già iniziata la guerra per la successione a Palazzo Balbi. Correva l’anno 2009.
Breve riassunto delle puntate precedenti. Nel 2009 viene creato con legge il «Fondo idrocarburi», una cassaforte in cui dev’essere versato il 3% delle royalty pagate dalle compagnie petrolifere allo Stato (è il differenziale scaturito dall’innalzamento dell’aliquota di concessione dal 7% al 10%) con l’obiettivo di risarcire le popolazioni disturbate dall’attività estrattiva (in Basilicata, soprattutto, visto che la maggior parte delle royalty provengono dai giacimenti dell’Eni in Val d’Agri e della Total a Tempa Rossa). Al momento dell’approvazione in parlamento, grazie ad un emendamento dell’allora senatore della Lega Nord Piergiorgio Stiffoni (caduto nel dimenticatoio dopo «la notte delle scope»), il novero dei beneficiari viene allargato alle regioni interessate dall’attività di rigassificazione, come il Veneto, attività che non genera di per sé royalty ma comunque comporta un disequilibrio ambientale. Esultano i leghisti ed esulta il fu governatore Giancarlo Galan ma quando il ministero dello Sviluppo economico scrive i decreti di ripartizione, nel febbraio e nel dicembre 2011, il Veneto non c’è. La Regione ricorre immediatamente al Tar del Lazio, anche perché le altre regioni beneficiarie ci sono tutte (dalla Basilicata alla Puglia, dal Piemonte all’Emilia Romagna), mentre il ministero tira dritto concedendo tramite le Poste una card idrocarburi ai patentati della Basilicata, che possono così ottenere i primi sconti alla pompa.
Il 6 agosto 2013, a quattro anni dall’approvazione della legge istitutiva del fondo, arriva la sentenza del Consiglio di Stato che dà ragione al Veneto, costringendo il governo a ridefinire i criteri di ripartizione e i Comuni della Provincia di Rovigo si preparano a sfruttare la loro parte degli sconti benzina, su un fondo complessivo nazionale di 280 milioni, peraltro in crescita costante. I lucani, nel loro piccolo, «s’incazzano» (la torta resta quella e se uno ci guadagna, altri ci perdono) ed è qui che arriva l’emendamento del senatore di Forza Italia Francesco Bruni, avvocato eletto in Puglia. Una righina, si diceva: «Le parole: “nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi offshore” di cui all’articolo 45, comma 2, legge 23 luglio 2009, n. 99, sono soppresse ». E’ la notte del 23 luglio, le commissioni Attività produttive e Ambiente stanno vagliando insieme il decreto «Competitività». Ci sono tre veneti: il pentastellato Gianni Pietro Girotto, Laura Puppato del Pd e Giovanni Piccoli di Forza Italia. Nessuno si accorge di niente. L’emendamento passa, assorbito nel maxi emendamento del governo, e gli sconti per il Polesine evaporano. «Guarda caso, dopo la nostra vittoria in giudizio, dopo che il presidente Zaia ha scritto al ministro Guidi sollecitandola a tener conto della sentenza, e nelle more del nuovo riparto del fondo, arriva questa furberia. E’ uno scandalo» s’infuria l’assessore allo Sviluppo economico Isi Coppola (polesana di Porto Viro). Le fa eco il collega al Bilancio Roberto Ciambetti: «Il buon senso ed una sentenza ci dicono che il Veneto ha diritto a quegli sconti. Davvero lascia basiti che i nostri parlamentari non abbiano mosso un dito. Che ci stanno lì a fare?». Il dl «Competitività» è ora alla Camera ma non potrà più essere modificato perché il termine per la presentazione degli emendamenti è scaduto e il governo è deciso a porre la fiducia: «L’emendamento è stato presentato da un senatore di Forza Italia e mi chiedo dove fossero i senatori della Lega mentre a Palazzo Madama veniva combinato questo pasticcio – replica Andrea Martella, membro Pd della commissione Attività produttive di Montecitorio – noi, adesso, non possiamo fare più nulla. Certo anche la Regione poteva muoversi prima. L’unica cosa che posso fare è presentare subito un ordine del giorno che impegni il governo a riordinare il confuso sistema delle royalty».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 2 agosto 2014