Il commissario alla spending review attacca sul blog “Già autorizzati 1,6 miliardi da finanziare con futuri risparmi”. Carlo Cottarelli, lo «sceriffo » della spending review, sbotta: sui conti pubblici non va e, secondo alcune indiscrezioni sarebbe pronto a lasciare per andare al Fondo monetario.
La sortita è abbastanza formale: è affidata al «Blog del Commissario» che l’ex economista dell’Fmi ha utilizzato ieri per una denuncia circostanziata e severa: «Si sta diffondendo la pratica di autorizzare nuove spese indicando che la copertura sarà trovata attraverso future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, attraverso tagli lineari delle spese ministeriali». Il linguaggio è tecnico ma esplicito: vi state impegnando la spending review del prossimo anno che io ancora devo fare, oppure fate i tagli lineari, cioè il contrario della missione che sono stato chiamato a fare, che invece è costituita da risparmi mirati sulla spesa. Poi scorrendo il blog appare una cifra bomba: «Il totale delle risorse che sono state spese prima di essere risparmiate per effetto di queste decisioni ammonta ora a 1,6 miliardi per il 2015». La morale, in sintesi, è: «Così potete dimenticarvi il taglio delle tasse perché non ci saranno risorse». Se la spending è un bancomat, addio al taglio delle imposte.
A far saltare i nervi a Cottarelli è stato il decreto-Madia sulla pubblica amministrazione che, con lo scopo di svecchiare i dipendenti pubblici, prevede un maxi-pensionamento anticipato degli statali di 62 anni che ieri è arrivato alle battute finali alla Camera. Un aumento di spese. Ma soprattutto una norma, introdotta durante una seduta durata fino alle tre di notte nei giorni scorsi, che prevede il salvataggio dei 4.000 insegnati, rimasti “incagliati” nel 2012, ai quali è stata data la possibilità di andare da quest’anno in pensione con le vecchie regole pre-Fornero di «quota 96». Una operazione che costa 396 milioni da quest’anno al 2018.
Chi è nel mirino di Cottarelli? Il Tesoro, dopo la sortita del commissario alla spending review, si è affrettato a precisare che «non si tratta di una polemica nei confronti del governo». Tuttavia, oltre all’”assalto alla diligenza” del Parlamento, ai vari decreti sui quali nessuno ha fatto ancora conti precisi, c’è anche la partita complessiva del controllo della spesa pubblica, dei conti e dei rapporti con gli organismi internazionali, dall’Fmi, alla Bce, a Bruxelles. Il presidente del Consiglio Renzi sta costituendo una cabina di regia economica a Palazzo Chigi, attorno al suo consigliere Yoram Gutgeld. La cosa ha lasciato tracce nel rapporto tra Via Venti Settembre.
Ma le tensioni crescono anche all’interno di un quadro di apprensione per le sorti della finanza pubblica. Il taglio delle previsioni del Pil da parte dell’Fmi di mezzo punto sulle stime del governo crea un buco di circa 4 miliardi che potranno essere coperti dai risparmi dell’effettospread ma che comunque creano un problema. I tagli di circa 1,3 miliardi che il decreto sul bonus- Irpef affidava a Comuni, Province e regioni non sono ancora nelle casse del Tesoro e i sindaci hanno smontato l’idea del governo di ridurre i centri di acquisto (una delle idee portanti della spending review di Cottarelli).
Una partita difficile che rischia di precipitare in autunno. Lo stesso Padoan prevede un intervento difficile sui conti in sede di legge di Stabilità quando si dovranno trovare almeno 25 miliardi. Le opposizioni sono alla finestra come falchi: ieri Grillo ha parlato di «tempesta perfetta» con misure devastanti, Brunetta ha persino ipotizzato una nuova lettera della Bce, mentre la Lega per ora si limita a chiedere che entri in funzione il nuovo Ufficio parlamentare di bilancio.
L’ira di mister forbici “Quei parlamentari hanno remato contro”
Cottarelli nella serata di ieri era ancora nel suo ufficio al Tesoro Il caso che lo ha costretto a intervenire è lo sblocco di 4.000 pensionamenti
«Lo sblocco dei 4mila pensionamenti degli insegnanti, la cosiddetta quota 96, è il segnale di un atteggiamento nei confronti della revisione della spesa che va proprio all’opposto del lavoro che io sto cercando di fare insieme al Governo». Carlo Cottarelli è stremato, alle 9 di sera, mentre ci dice queste parole dal suo ufficio di via XX Settembre. «È un’iniziativa parlamentare», scandisce. Come dire, io e il governo non l’avremmo fatto. Ma anche: io e il governo siamo dalla stessa parte. Per il commissario alla spending review è stata la giornata più drammatica dalla sua nomina del 4 ottobre 2013. Un mercoledì cominciato malissimo, con il duro fondo sull’”Enigma Cottarelli” firmato sul Corriere da Francesco Giavazzi (l’economista protagonista di un’altra stagione di “tentata” spending review ai tempi di Monti) e proseguita con le dichiarazioni in cui un altro commissario, quello anticorruzione Raffaele Cantone, ha annunciato lo smacco “congiunto”: lui e Cottarelli stavano per spedire 100 lettere ad altrettanti enti locali spendaccioni minacciandoli di ispezioni della Guardia di Finanza e della Ragioneria generale, ma hanno dovuto rimetterle nel cassetto perché ai Comuni è stato dato in extremis un anno di tempo per adeguarsi ai parametri Consip. Poi è scoppiata la polemica sulla quota 96: 1,6 miliardi di spese già date per risparmiate e invece tutte da reperire.
Chiediamo a Cottarelli: vuol dire che in Italia è impossibile impostare una spending review?
« Non voglio entrare in polemica con nessuno. Solo che mi sembrava opportuno spiegare le ragioni tecniche che hanno portato la Ragioneria a dare parere negativo su uno specifico provvedimento proposto in Parlamento», risponde. «Ripeto: è un’iniziativa di alcuni parlamentari, non del governo. E rappresenta esattamente il contrario della direzio- ne in cui stiamo cercando di andare ». Non dice di più, ma sul blog è più secco: se si utilizzano risorse che verranno da risparmi per aumentare la spesa, i benefici successivi non potranno più servire a ridurre le tasse sul lavoro.
È l’ennesima battaglia combattuta da Cottarelli. Quando si trasferisce dall’Fmi dove era direttore degli Affari Fiscali, è animato dalle migliori intenzioni. Ma subito è sottoposto a un barrage di polemiche per il suo stipendio (255mila euro). Poi comincia il tiramolla sullo staff, che ora è ridotto a otto funzionari. Poi sulla sede: dal Tesoro gli viene detto di spostarsi a Palazzo Chigi, poi più nulla perché intanto alla presidenza si è insediata una task force condotta dai fedelissimi renziani Yoram Gutgeld e Filippo Taddei che ora sta cominciando a redigere la sua contro- spending review . Insomma sarà pure un duro, ma la tentazione di abbandonare non può non averla. Un sito ben informato di cose finanziarie, Il Ghirlandaio ( diretto da un ex direttore di Radiocor), è stato ieri il primo a dare per certa la lettera di dimissioni. Troppe le frustrazioni e le tensioni soprattutto da quando c’è Renzi. Il quale aveva esordito liquidando i sui calcoli di 85mila esuberi nell’amministrazione. È solo questione di riorganizzazione, tagliò corto il premier. Che poi al momento di varare la composita riforma della PA (decreto+ddl) ha inserito le parti cruciali nel disegno di legge rinviandone di chissà quanto l’operatività. Fra queste, la reductio ad unum degli uffici provinciali (sovrintendenze, prefetture, tribunali, Asl) che Cottarelli voleva mettere nel decreto di immediata attuazione. Poi c’è la giungla delle partecipate locali: malgrado le insistenze le amministrazioni non collaborano al censimento. Già si è arrivati a 10mila e non 8mila come sostiene Renzi, ma metà delle Asl ancora non ha risposto, e manca all’appello il 50% dei comuni sotto i 30mila abitanti.
Repubblica – 31luglio 2014