«Il servizio sanitario nazionale garantisce agli italiani diagnosi, prevenzione e terapie, l’eterologa non rientra in nessuna delle tre», era il 1985, le parole erano pronunciate da Costante Degan, ministro della Sanità. «La fecondazione eterologa sarà inserita nei livelli essenziali di assistenza, nelle more occorre immediatamente vincolare una quota del Fondo sanitario nazionale», dichiarazione fatta ieri dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in audizione alla Camera.
Sono passati quasi 30 anni, frammezzati da un divieto sull’eterologa cancellato 3 mesi fa dalla Consulta per arrivare all’annuncio che i figli della provetta per le coppie sterili saranno a carico dello Stato. Che non riesce a comprare Tac di nuova generazione o a pagare i nuovi, costosissimi farmaci salvavita.
Del resto la Corte Costituzionale ha parlato chiaro: il diritto alla procreazione con l’eterologa deve essere equamente riconosciuto a chi ne faccia richiesta. Quindi, anche a chi non può permettersi di rivolgersi ai centri privati. Ma i costi rischiano di sfiorare il miliardo l’anno.
Due conti li fa Pasquale Bilotta, direttore scientifico di uno dei centri privati di procreazione assistita “storici”, l’Alma Res di Roma. «Sono circa 10mila le coppie con problemi di infertilità interessate all’eterologa», spiega. Nel suo centro i costi per le pratiche di fecondazione variano dai quattro ai seimila euro, ai quali si aggiunge un altro migliaio di euro per test ai quali occorre sottoporre i donatori. Poi ci sono i rimborsi che, soprattutto per le donne che si sottopongono a faticose e lunghe stimolazioni ormonali per donare ovociti, si aggirano sui mille euro. Infine c’è il costo della creazione e gestione delle banche dati che dovranno garantire la tracciabilità dal donatore al nato in provetta, nel caso questi accusi qualche malattia genetica che richieda risalire al donatore. Totale: circa un miliardo l’anno».
«Sono cattolico ma su queste cose ragiono da laico», precisare il professor Cesare Aragona, che da 31 anni dirige il centro di procreazione assistita dell’Umberto I a Roma: «Non so cosa penseranno i malati di epatite C, senza farmaco salvavita perché i prezzi sono esorbitanti, di fronte al finanziamento pubblico di una pratica che, nella maggior parte dei casi, è difficile definire terapeutica. Oramai su 100 maschi sterili 80 risolvono il problema con le terapie. Le richieste di eterologa – aggiunge – arrivano soprattutto da donne tra i 45 e i 50 anni, sterili perché non producono più ovociti». «Comunque, quindici anni fa, quando era consentita – ricorda Aragona – nessun centro pubblico praticava l’eterologa: non c’erano fondi».
Se ci saranno i finanziamenti, si vedrà. Gli stanziamenti sembrerebbero però limitati a dieci milioni per i primi tre mesi. Se così fosse più di un centro pubblico dovrebbe alzare le braccia. Anche se una mano potrebbero darla le “donatrici”, mosse da solidarietà. «Oltre il 37 per cento di quelle che si sottopongono a programmi di fecondazione assistita hanno dato il consenso a donare gli ovociti in sovrannumero», rivela Bilotta. Ma il conto dell’eterologa rischia comunque di essere salato.
[pa. ru.] – La Stampa – 30 luglio 2014