L’area di contagio si allarga: il virus è uscito dalla foresta.Ebola non viaggia soltanto sulle ali di pipistrello (leccornia cucinata arrosto o in umido) ma in aereo fino in Nigeria, si nasconde nelle città e colpisce negli ospedali approfittando delle carenze sanitarie e dei guaritori che lo curano (si fa per dire) con pozioni di zenzero, aglio e miele.
Scoperto nel 1976 (il nome è quello di un fiume del Congo) Ebola sfrutta il clima di pace e l’effetto globalizzazione nell’Africa Occidentale: migliori trasporti e niente guerre (rispetto all’ex Zaire) spiegano il caso del quarantenne liberiano deceduto ieri subito dopo l’arrivo all’aeroporto di Lagos, metropoli nigeriana di 20 milioni di abitanti. Mentre avanza, il virus si copre le spalle: ha cominciato a uccidere alcuni dei suoi principali nemici, infermieri e medici con le tute e gli occhialoni che da mesi si battono per isolare un epidemia fuori controllo. Lo scorso weekend in Liberia è toccato a Samuel Brisbane: il dottor anti-Ebola del John Kennedy Hospital di Monrovia è morto dopo tre settimane di lotta. Nei giorni precedenti il suo omologo Sheikh Umar Khan, 39 anni, era stato contagiato dopo essersi preso cura di cento pazienti in Sierra Leone, il Paese dove sabato il virus ha registrato la prima vittima nella capitale Freetown: una parrucchiera di 32 anni, una delle 672 persone morte da marzo a oggi, circa il 50% dei 1.200 contagiati nei Paesi più colpiti (Guinea, Liberia e Sierra Leone). Percentuali da incubo eppure al di sotto degli standard di un flagello raro che però non conosce cura né vaccino e che di solito manda al cimitero il 90% delle persone che tocca. Questa sua relativa debolezza, secondo l’esperto Robert Garry di New Orleans intervistato dall’Economist , è una delle ragioni che paradossalmente fanno dell’epidemia in corso la più letale della storia: perché i malati, una volta che diventano contagiosi mostrando i sintomi (febbre, vomito, diarrea fino alle devastanti emorragie finali), hanno più tempo per infettare il prossimo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha alzato l’allarme per un’epidemia ormai «regionale» che in due giorni dal 21 al 23 luglio ha registrato 108 nuovi casi. La principale compagnia aerea della Nigeria (per il virus un bacino ghiotto con 180 milioni di abitanti) ha sospeso i voli da Liberia e Sierra Leone. La presidente liberiana Johnson Sirleaf ha ordinato la chiusura delle frontiere e la messa in quarantena delle comunità più colpite. Nel Paese i luoghi pubblici devono installare servizi igienici dove lavarsi le mani. Ristoranti, hotel e cinema manderanno in onda videoclip informativi di cinque minuti per spiegare ai clienti le precauzioni da prendere.
Ebola infetta attraverso i liquidi del corpo. E infetta anche da un corpo morto (per esempio ai funerali delle vittime). In prima linea ci sono gli operatori sanitari. A volte non bastano le misure protettive e le tute isolanti. Questione di probabilità. È di ieri la notizia che due operatori americani sono stati colpiti in Liberia: Kent Brantly, direttore di uno dei due centri nazionali per il trattamento dei pazienti (che vengono isolati e idratati), e Nancy Writebol dello stesso team che fa capo al gruppo Samaritan’s Purse. Medici e poliziotti: oltre all’aggressività del virus c’è da affrontare quella della folla. Accade in Sierra Leone, che ha superato per numero di contagi (454) la Guinea dove l’epidemia ha avuto inizio lo scorso febbraio. Migliaia di persone hanno assediato l’ospedale di Kenema minacciando di bruciarlo dopo aver spostato i pazienti. Gli agenti hanno disperso la folla con i gas lacrimogeni. Protesta innescata da una ex infermiera, secondo cui «Ebola è un’invenzione e un pretesto per mettere in atto rituali cannibalici». Non è un fenomeno isolato. In alcuni villaggi della Guinea, come racconta il New York Times , il personale di Medici Senza Frontiere è stato minacciato con coltelli e machete: «Non entrate nelle nostre case. Siete voi che portate la morte».
Michele Farina – Il Corriere della Sera – 29 luglio 2014