Nessuna “ghigliottina”, nessun contingentamento dei tempi ma dalla prossima settimana sulle riforme si andrà ad oltranza con un calendario che prevede la presenza in aula dei senatori dalle 9 alle 24, sabato e domenica compresi. Una scelta per tentare di aggirare l’ostruzionismo di Sel e M5S ma che potrebbe rivelarsi non sufficiente per arrivare al via libera nella prima decade di agosto.
Una sfida che ha in Matteo Renzi il principale protagonista e nel Capo dello Stato un fortissimo alleato. Il faccia a faccia al Quirinale ha avuto al centro la crisi internazionale ma è servito anche a rafforzare l’asse tra il premier e il Colle sul cammino delle riforme. Del resto Giorgio Napolitano come la pensasse lo aveva espresso pubblicamente poco prima invitando a non agitare «spettri di autoritarismo» e ricordando allo stesso tempo che il testo approdato nell’aula di Palazzo Madama è il prodotto di un dibattito «ampio, libero ed estremamente aperto», protrattosi in Commissione per oltre tre mesi.
Il premier la pensa allo stesso modo e resta fiducioso sull’esito della partita al Senato. Anche perché è convinto che l’ostruzionismo portato avanti dal M5S e da Sel sia un boomerang per l’opposizione e un’iniezione di ulteriori consensi per il governo: «#mentreloro fanno ostruzionismo per provare a bloccare il cambiamento, noi ci occupiamo di posti di lavoro», scrive su Twitter. «Non c’è niente di male a votare a oltranza: milioni di italiani lavorano da mattina a sera e allora possono votare da mattina a sera anche i senatori» commenta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti.
Il governo non chiude la porta al dialogo ma non vuole concedere margini per allungare ancora i tempi. Altro che diktat. Semmai è il contrario, osserva chi ha parlato con il premier, sottolineando la posizione presa da Fi, che ieri si è schierata con il resto delle opposizioni votando contro il nuovo calendario per andare avanti a oltranza e che viene interpretata come una reazione al «sì» del Pd sull’arresto di Giancarlo Galan. Un retroscena avvalorato anche dal grillino Di Battista che su Fb scrive di aver sentito Renato Brunetta dire al ministro Maria Elena Boschi che se non ci fosse stato lo slittamento del voto su Galan «saltano le riforme». Segno che la guerra tra falchi e colombe – osservano a Palazzo Chigi – è ancora in corso.
Da Fi (e dalla Lega) la lettura è un po’ diversa. «Andare avanti in questo modo non ha senso, mi auguro che la ragionevolezza prenda il sopravvento», ammoniva ieri il capogruppo azzurro Paolo Romani, subito dopo la decisione della Capigruppo. La sensazione di Fi è che il governo «voglia cercare l’incidente». La pensa così anche la Lega, che si è vista respingere al mittente tutte le richieste di modifica presentate. «Renzi vuole scaricare sugli altri il fallimento in Europa…», è la tesi prevalente in Fi. A nessuno è sfuggito il tempismo con cui ieri il democratico Roberto Giachetti ha rilanciato il ritorno immediato alle urne: «Torniamo a votare – scrive Giachetti in una lettera aperta indirizzata a Renzi – meglio votare con il Consultellum che insistere con questo ostruzionismo che colpisce e uccide la speranza di milioni di italiani». Un’ipotesi che Renzi si limita a registrare, insistendo sull’agenda di legislatura, dei «millegiorni» ma che non può essere scartata del tutto. «Siamo qui per fare» dice Lotti.
I prossimi giorni diranno se ci sono spazi per accelerare i tempi per il via libera del Senato. Ncd con Renato Schifani spinge per una «mediazione politica». Il leghista Roberto Calderoli, che assieme alla democratica Anna Finocchiaro è correlatore del provvedimento, ha chiesto a nome di entrambi uno «spazio temporale» per elaborare delle proposte da poter poi presentare in aula. Tra i temi che potrebbero essere oggetto di “rivisitazione” il referendum (ad esempio abbassando il numero delle firme necessarie per presentarlo) e l’allargamento ai deputati europei della platea degli elettori del Capo dello Stato.
Il Sole 24 Ore – 23 luglio 2014