Gianni Trovati. I costi standard ci riprovano, ed entrano in Costituzione nel tentantivo di stabilire che i finanziamenti a Regioni, Città metropolitane e Comuni siano garantiti solo «sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno uniformati a criteri di efficienza», e che tocchi agli amministratori trovare (con le tasse locali) le fonti per coprire le spese in più. Gli emendamenti
Con questa novità dell’ultim’ora, frutto di un emendamento dei relatori Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega) integrato con un correttivo proposto da Maurizio Sacconi (Ncd), passa in commissione Affari costituzionali del Senato anche la riforma del Titolo V, quella che facendo tesoro della brutta esperienza scaturita dalla riforma del 2001 prova a rifare ordine nella divisione di compiti fra Stato e Regioni e soprattutto cancella il pasticcio delle «competenze concorrenti» su cui è fiorito il contenzioso costituzionale.
Tra proposta iniziale del Governo ed emendamenti approvati in commissione a Palazzo Madama, in effetti il ridisegno è drastico, e riporta alla «legislazione esclusiva» dello Stato un pacchetto di oltre 20 materie. Tornano al centro, prima di tutto, materie come le «infrastrutture strategiche», le «grandi reti di trasporto e navigazione di interesse nazionale», i porti e gli aeroporti, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia, che per natura non si conciliano con le dimensioni regionali. L’obiettivo evidente è quello di sfoltire la trama dei veti territoriali che in questi anni hanno contribuito non poco al blocco degli interventi infrastrutturali o ne hanno moltiplicato tempi e costi con il sistema delle “compensazioni” garantite per strappare un «sì» alle amministrazioni territoriali. Allo stesso scopo risponde il ritorno al centro delle competenze esclusive sulle «disposizioni generali e comuni sul governo del territorio», assegnate allo Stato insieme al «sistema nazionale e coordinamento della Protezione civile». La «tutela dell’interesse nazionale», che insieme alla difesa «dell’unità giuridica o economica della Repubblica» permette al Parlamento di intervenire, su proposta del Governo, in materie escluse dall’elenco della competenza esclusiva statale.
Tra le competenze “centralizzate” si fanno notare poi le «disposizioni comuni sull’istruzione», l’ordinamento scolastico, l’università e la ricerca, che insieme all’«ordinamento delle professioni» sono chiamate ad appianare gli ostacoli alzati dalla proliferazione di normative regionali su temi come l’apprendistato e l’inserimento professionale. Ridiventano esclusiva statale anche il turismo e i «beni culturali e paesaggistici».
Rispetto al testo originale del Governo, l’emendamento approvato a Palazzo Madama per riscrivere l’articolo 117 della Costituzione allunga anche le materie di competenza regionale, legando però in modo espresso all’ambito territoriale di riferimento la potestà legislativa su pianificazione del territorio, servizi alle imprese, valorizzazione dei beni ambientali e così via. Il testo approvato rilancia anche il tema dell’autonomia “differenziata”, con cui lo Stato può delegare alle Regioni funzioni ulteriori su giustizia di pace, istruzione, ambiente e cultura: per chiedere i compiti aggiuntivi, però, le Regioni dovranno vantare un bilancio in equilibrio. Fuori dalla partita, di fatto, le Autonomie speciali, per le quali l’applicazione della riforma è rinviata «sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti».
Il Sole 24 Ore – 9 luglio 2014