Roberto Giovannini. La crisi colpisce i redditi, fa aumentare le spese sociali, mette in difficoltà i conti del welfare, impedisce di incrementare gli assegni dei pensionati. Questa, in sintesi, la fotografia che emerge dal rapporto 2014 dell’Inps, presentato ieri al Parlamento dal Commissario straordinario dell’ente Vittorio Conti.
E così, mentre si impennano le cifre della spesa per ammortizzatori sociali, nel 2013 ben 6,8 milioni di pensionati, ovvero il 43% del totale, ricevono un assegno di importo inferiore ai mille euro lordi al mese. Di questi, 2 milioni (il 13,4% del totale) devono accontentarsi di una pensione inferiore a soli 500 euro lordi. E 1,2 milioni non superano i 209 euro lordi.
Pensioni da fame, si potrebbe ben dire; anche se ovviamente è il caso di ricordare che non necessariamente tutti questi anziani vivono soltanto con il reddito assicurato dall’ente previdenziale. Sul versante opposto ci sono circa 2,5 milioni di anziani che percepiscono una pensione superiore ai 2.000 euro lordi. Numeri che si incrociano con quelli del lavoro che perde velocità: nel 2013 tra ordinaria, straordinaria e in deroga le ore di cassa autorizzate sono ammontate a 1.182,3 milioni, in aumento del 5,6% rispetto al 2012. In testa la Cig straordinaria con il 44,6% di prestazioni effettuate, il 30,1% per quella ordinaria, il 25,3% per prestazioni straordinarie in deroga. Sono stati quasi 1,5 milioni i beneficiari di indennità di mobilità, disoccupazione, Aspi e Miniaspi. In tutto, per Cig, mobilità, disoccupazione, comprese le new entry Aspi e MiniAspi, sono stati erogati 23,6 miliardi di euro. La spesa per prestazioni sociali e sostegno al reddito è salita dai 15,7 miliardi del 2007 ai 33,9 del 2013.
Il gigante della previdenza tira un sospiro sul versante conti: sconta ancora un «rosso» di quasi 9,9 miliardi di euro ma assicura «la sostenibilità del sistema», grazie all’intervento previsto dalla legge di stabilità. Il commissario straordinario – che scadrà il 30 settembre – mette in evidenza comunque il nodo «dell’adeguatezza» delle pensioni. Come correggere questa situazione? Il suggerimento è quello di intervenire modificando la riforma Fornero, consentendo una maggiore flessibilità, in particolare per lavoratori precoci o per attività usuranti, anche se sempre salvaguardando la solidità e l’equità del sistema. Fondamentale poi è sostenere le adesioni ai fondi pensione complementari, che presentano un panorama «troppo frammentario» e spezzettato. Intanto, come pure ricorda il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a fine anno arriverà la sperimentazione della «busta arancione». Un documento in cui a ogni lavoratore verrà data in modo trasparente e comprensibile una indicazione su quale sarà la pensione pubblica che lo aspetta a fine carriera.
Intanto i cambiamenti del sistema sono sotto gli occhi di tutti, la riforma Fornero durante il 2013 si è fatta sentire, falciando le uscite dal punto di vista numerico: rispetto all’anno prima i dipendenti privati hanno subito un calo del 32% per le pensioni di anzianità-anticipate e del 57% per la vecchiaia. Non è andata tanto diversamente per gli impiegati pubblici, con un dimezzamento degli assegni. I numeri spaventano i sindacati, che si appellano al Governo: la Cgil sottolinea che il rapporto Inps «fotografa la sofferenza sociale dell’Italia e le debolezze del nostro sistema di welfare». La Cisl chiede di allargare il bonus degli 80 euro anche ai pensionati, mentre per la Uil i dati denotano «un disagio forte e crescente della nostra società e del lavoro».
La Stampa – 9 luglio 2014