In Italia negli ultimi mesi c’è un calo del 6 per cento Anche perché 3 milioni e mezzo di persone soffrono di intolleranze alimentari
PER i bambini di tutto il mondo il latte è sempre stato sinonimo di mucche. Ma non è più così. C’è gran confusione sotto il cielo (e negli scaffali dei supermarket): oggi il latte può essere di soia, di riso, di cocco, di mandorle. Un inedito mondo bianco ad uso e consumo di chi è intollerante al lattosio. E non solo. C’è chi è addirittura allergico. Chi è vegetariano. Chi trova il latte grasso. Chi segue una dieta che esclude i latticini come se fossero caloriche salsicce. Fatto sta che, in Italia, negli ultimi mesi la vendita del latte fresco è calata del 6% e quella del latte a lunga conservazione del 2,7%. Risalgono la china, invece, il latte di soia con un boom del 13,8% e quello di riso con un più 2,52%.
Non siamo certo i primi ad aver rivoluzionato la chimica del cappuccino. A lanciare la moda sono stati, antesignani in assoluto, gli americani. Cresciuti a latte e hamburger, dagli anni ’70 ad oggi hanno gradualmente cambiato idea. Risultato? Un crollo del 37% delle vendite. Un dato che schizza al 78% se riferito al latte intero, ormai considerato dai maniaci della salute alla pari di un nemico. Al contrario sono al massimo della popolarità le bevande alternative (soia, cocco, canapa, riso, mandorle) che registrano una crescita del 30%, pari a 2 miliardi di dollari nel 2013. Solo nel 2014, in America, sono stati lanciati circa 50 prodotti alternativi al latte di origine animale. Sono in molti però a contestare la nuova moda sostenendo che non è detto che una bevanda, solo perché vegetale, possa essere considerata necessariamente più sana. Anzi. Ribadiscono a voce alta il potere salvifico, soprattutto per i ragazzi, ma anche le donne e gli anziani, del calcio. «In America si è passati da un estremo all’altro», spiega Giuseppe Ambrosi presidente di Assolatte, «prima bevevano più di 100 litri di liquido a testa poi ha preso piede il filone ambientalista, vegetariano e vegano. Al contrario nei paesi in via di sviluppo come India, Cina e Brasile i consumi sono in costante aumento». Ma quali sono i reali motivi di tanta improvvisa disaffezione?. «Principalmente la polemica sui grassi di origine animale che ha portato, negli ultimi 12 mesi, ad un crollo del 6% delle vendite di latte fresco — prosegue Ambrosi — e del 2.7% di quello a lunga conservazione. Resiste invece il delattosato, quello senza lattosio, e il parzialmente scremato».
I più accaniti portabandiera delle nuove bevande sono i nuovi allergici. Un esercito corposo che sembra aumentare di anno in anno. Sarebbero infatti 3,5 milioni gli italiani con intolleranze alimentari, 2 milioni quelli con allergie e 6,3 quelli con problemi di digestione. Siamo diventati tutti più responsabili? Non proprio. Andrebbe infatti imputata a una generalizzata crisi dei consumi, secondo Giorgio Apostoli responsabile latte di Coldiretti, la vera causa della débâcle del latte animale: «Il calo degli acquisti alimentari è generalizzato e oltre ad ortaggi e carne colpisce anche il latte». Mentre la leggenda salutista non soddisfa Apostoli: «Il latte di soia è in gran parte di origine Ogm quindi considerarlo più sano è ridicolo, mentre il latte fresco è italiano al 100%, il che garantisce sulla qualità». Anche l’italica pigrizia sposta gli equilibri. «Gli italiani da sempre preferiscono il latte Uht a quello fresco, perché resiste nel frigorifero a lungo — conclude Apostoli — ma sembrano dimenticare che la bollitura a 140 gradi fa perdere gran parte delle vitamine e dei principi nutritivi».
4 luglio 2014