Stanno tornando, ma non è detto che restino. Gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese, che si sono riaffacciati solo a metà del 2013 per un totale di 12,4 miliardi di euro (-58% rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi), sono ancora una scommessa. Il nostro Paese, che in questa prima parte nel 2014 ha visto rafforzarsi la tendenza dei capitali esteri a tornare dentro i nostri confini, deve tuttora dimostrare di essere, oltre che interessante dal punto di vista dei rendimenti, anche affidabile.
Per questo è sempre giusto ricordare, come fa il Censis nell’ultimo numero del «Diario della transizione», quali siano i difetti strutturali che hanno rovinato la nostra reputazione e sprofondato l’Italia agli ultimi posti nelle classifiche degli indicatori di appetibilità. Oggi l’Italia occupa il 65° posto nella graduatoria mondiale dei fattori determinanti la capacità attrattiva di capitali per un Paese, considerando le procedure, i tempi e i costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi edilizi, allacciare una utenza elettrica business o risolvere una controversia giudiziaria su un contratto.
In cima alla lista ci sono Singapore, Hong Kong e gli Stati Uniti, ma anche Regno Unito e Germania che sono posizionati rispettivamente al 10° e al 21° posto. In tutta l’Europa solo Grecia, Romania e Repubblica Ceca presentano condizioni per fare impresa più sfavorevoli delle nostre.
Un esempio pratico: per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, 97 in Germania. Per allacciarsi alla rete elettrica servono 124 giorni in Italia, 17 in Germania. Per risolvere una controversia relativa a un contratto commerciale, il sistema giudiziario italiano impiega in media 1.185 giorni, quello tedesco 394.
Secondo la classifica del Reputation Institute di New York, che si basa su 42 mila interviste volte a misurare fiducia, stima, ammirazione, interesse verso una cinquantina di Paesi, nel 2013 l’Italia si colloca in 16ª posizione, perdendo quattro posizioni rispetto al 2009, quando eravamo al 12° posto. Neanche a dirlo, l’Italia è ai primi posti per quanto concerne indicatori come lo stile di vita, ma non per quello che attiene ai fattori di sostegno allo sviluppo. Siamo quindi un Paese appetibile per quanto riguarda il turismo e l’acquisto di beni a elevata valenza simbolica, molto meno come area di destinazione di investimenti.
Certo, i momenti peggiori sono alle spalle, parliamo del 2008, l’anno della fuga dei capitali, in cui i disinvestimenti hanno superato i nuovi investimenti stranieri, e del 2012, l’anno della crisi del debito pubblico, con lo spread schizzato alle stelle e il rischio di default . In questi anni tutti i Paesi a economia avanzata hanno perso colpi ma l’Italia si è distinta per il calo nell’attrattività verso i capitali stranieri. Così, nonostante oggi sia ancora la seconda potenza manifatturiera d’Europa e la quinta nel mondo, il nostro Paese detiene solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito.
Inutile ricordare in questi giorni che sulla nostra reputazione pesano anni di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti.
A fronte di questi problemi ci sono ancora molti punti di forza. L’Italia è a tutt’oggi l’11° esportatore al mondo, con una quota del 2,7% dell’export mondiale. Siamo ancora la 5ª destinazione turistica al mondo (dopo Francia, Usa, Cina e Spagna), con più di 77 milioni di stranieri che varcano ogni anno le nostre frontiere (+4,1% tra il 2010 e il 2013). Gli italiani sono molto presenti nel resto del mondo: circa 60 milioni di persone di origine italiana sono residenti all’estero (15 milioni solo negli Usa), mentre sono più di 20 mila le imprese a controllo nazionale localizzate oltre confine (con 1,5 milioni di addetti e 420 miliardi di euro di fatturato), e 25 mila le imprese associate alla rete di 81 Camere di commercio italiane presenti in 55 Paesi. Infine sono 4,3 milioni gli italiani residenti all’estero: un numero che cresce rapidamente (+132 mila nell’ultimo anno). Esportiamo conoscenze attraverso i 2.673 ricercatori italiani attualmente operanti all’estero. E speriamo di importarne con i 23.400 studenti italiani inseriti nel programma Erasmus e i 62.580 giovani che studiano in università straniere.
Antonella Baccaro – Il Corriere della Sera – 8 giugno 2014