«Si sta facendo qualcosa che non esiste in natura, la stessa vita umana potrebbe essere in pericolo». Nel film «Io sono leggenda» Will Smith è uno dei pochissimi sopravvissuti a un’epidemia generata dal virus del morbillo geneticamente modificato. È una delle paure umane collettive che più ispira scrittori e registi: che un nuovo, potentissimo virus possa «fuggire» da un laboratorio e decimare (o distruggere) l’umanità.
L’ipotesi non è poi così fantascientifica secondo gli epidemiologi Marc Lipsitch e Alison P. Galvani, delle università di Harvard e Yale, che al tema hanno dedicato un articolo pubblicato su Plos Medicine. Lipsitch e Galvani mettono in guardia sul rischio della fuoriuscita, anche a causa di incidenti o smarrimenti in laboratorio, di alcuni super virus pericolosi, dalla Sars a Ebola, frutto di manipolazioni e mutazioni dei ceppi naturali, contro cui potrebbe non esserci rimedio se scoppiasse una pandemia. Tanto che, scrivono, «la creazione in laboratorio di nuovi agenti infettivi potrebbe mettere la vita umana a rischio». I due scienziati hanno stimato che se dieci dei centri di ricerca più avanzati e sicuri degli Stati Uniti conducessero esperimenti sui super virus per un decennio, si avrebbe il 20% di probabilità di diffusione dei pericolosi microrganismi fuori dai laboratori, con il rischio potenziale di trasmettere la malattia a numerose persone, come spiegano alla rivista The Atlantic. Gli epidemiologi ricordano il caso del virus H1N1, che nel 1977 causò una pandemia continuando poi a circolare per vent’anni: non è ancora stato possibile accertare la verità, ma molti sospettano che il microrganismo sia stato rilasciato accidentalmente da un laboratorio russo o cinese.
«Qualcosa che non esiste in natura»
La preoccupazione degli scienziati è che «si sta facendo qualcosa che non esiste in natura, un’operazione che combina l’alta virulenza di questi patogeni, con la loro capacità di trasmettersi in modo efficiente». E anche se la maggior parte dei laboratori ha standard di sicurezza elevatissimi, con operatori che indossano tute hi-tech e lavorano dietro porte d’acciaio, «gli smarrimenti e le perdite di fiale e altro materiale con virus assai pericolosi possono accadere, a causa di guasti nelle apparecchiature respiratorie o se un lavoratore si tocca accidentalmente gli occhi o il naso con un guanto contaminato». Gli esperti spiegano di avere analizzato dati di precedenti ricerche in laboratori di questo tipo, che fotografano come «le infezioni di chi opera in questi centri ad alto rischio non sono un evento comune, ma con l’aumento dei laboratori e delle ricerche sui virus questi incidenti sono stati registrati più volte». L’argomento è assai dibattuto e il mondo della scienza è diviso tra chi vede negli studi in laboratorio sui virus una possibilità per sviluppare nuove cure e chi vorrebbe eliminare questi agenti patogeni per scongiurare rischiose pandemie.
Il caso dei due campioni di vaiolo
Un caso esemplare è quello del vaiolo, eradicato nel 1980 grazie al vaccino. Ma esistono ancora due campioni del virus (variola) che vivono in due centri negli Stati Uniti e in Russia: alcuni scienziati sostengono che queste provette con il vaiolo devono essere distrutte perché c’è la possibilità che finiscano nelle mani sbagliate. «Non esiste una cura per il vaiolo – spiegano Lipsitch e Galvani – e la malattia uccide un terzo delle sue vittime. Il resto subisce cicatrici permanenti». Il tema è caldissimo e proprio venerdì l’assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della sanità si appresta a prendere una decisione che potrebbe essere storica, e cioè se distruggere o meno gli ultimi campioni di quello che è stato uno dei principali killer della storia dell’umanità, il virus del vaiolo appunto. In passato ci sono stati incidenti che hanno coinvolto agenti patogeni coltivati in laboratorio. Nel 2003 un tecnico di laboratorio di Singapore è stato inavvertitamente infettato dal virus della Sars. Nel 2004 in un centro siberiano uno scienziato russo è morto dopo essersi punto accidentalmente con un ago contaminato con Ebola. Recentemente si sono verificati altri due casi: uno a Parigi, dove l’Istituto Pasteur ha perso duemila fiale contenenti il virus della Sars, e l’altro in Texas, dove il Laboratorio nazionale di Galveston ha smarrito un flaconcino contenente il virus Guanarito, che provoca devastanti emorragie sotto la pelle, negli organi interni, nella bocca, negli occhi e nelle orecchie. In conclusione, Marc Lipsitch ed Alison P. Galvani invitano le autorità statunitensi a valutare attentamente rischi e benefici delle sperimentazioni e suggeriscono di optare per metodi di ricerca alternativi e più sicuri.
Corriere.it – 23 maggio 2014